Alessia Pifferi non passerà tutta la sua vita in carcere, almeno per il giudizio di secondo grado. La Corte d’Assise d’appello di Milano ha condannato a 24 anni la donna per l’omicidio della figlia Diana di 18 mesi, secondo l’accusa lasciata morire di stenti nel luglio 2022 perchè la madre si era assentata per sei giorni passati con il fidanzato. In primo grado, nel maggio 2024, era stata condannata all’ergastolo.
A Pifferi sono state concesse le attenuanti generiche equivalenti all’unica aggravante che le era stata riconosciuta, ovvero quella del vincolo di parentela. Nel secondo grado sono cadute le accuse di futili motivi che invece nel processo precedente le erano valse la pena massima. La Procura Generale potrà ora ricorrere contro la sentenza di secondo grado in Cassazione.
Le motiovazioni – In primo grado, Pifferi era stata ritenuta capace di intendere e di volere e quindi la morte della figlia era stata considerata un omicidio volontario. La condanna per questo tipo di reato va dai 21 ai 24 anni, ma con l’aggravante del rapporto di filiazione, senza attenuanti, scatta l’ergastolo. Nella sentenza di secondo grado Pifferi, 40 anni, è stata sempre ritenuta capace di intendere e di volere, ma secondo nuove valutazioni psicologiche è stata valutata come affetta da disturbi mentali invalidanti.
Questa tesi è stata sostenuta dalla perizia disposta dalla Corte d’Appello in agosto ed eseguita dallo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, dal neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni e dalla neuropsicologa Nadia Bolognini. Dopo alcuni test nel carcere di Vigevano i tre professionisti hanno giudicato Pifferi «settoriale nella sua fragilità cognitiva» a cui si aggiunge «immaturità affettiva» e «disturbi del neurosviluppo» risalenti «all’infanzia-adolescenza e complessivamente evoluti in senso migliorativo in età adulta». Al netto di queste difficoltà cognitive la donna è capace di intendere e di volere perché il «deficit è scarsamente incidente, nel senso che «non invalida significativamente il suo funzionamento psico-sociale».
I parenti – «Ventiquattro anni per una cosa così orrenda. Ventiquattro anni è il valore di una bambina di 18 mesi che non c’è più. L’ha lasciata sola a morire mentre lei andava a divertirsi», così ha commentato la sorella dell’omicida, Viviana Pifferi. La madre invece, Maria Assandri, ha preferito non commentare lasciando parlare l’avvocato Emanuele De Mitri: «Dal nostro punto di vista, 24 anni sono pochi. Almeno è stato riconosciuto l’omicidio volontario». Entrambe le donne si sono costituite parte civile nel processo.
Pareri opposti – Alessia Pifferi nel 2022 aveva lasciato la figlia da sola per sei giorni nella casa di via Parea a Milano. Troppo piccola per badare a sé stessa, Diana aveva a disposizione una bottiglietta d’acqua e un biberon di latte lasciati da sua madre. Tutti elementi sottolineati dalla sostituta procuratrice generale di Milano, Lucilla Tontodonati, nella requisitoria di due ore e mezza in cui ha chiesto la conferma dell’ergastolo. «La condotta che abbiamo di fronte è particolarmente raccapricciante, ma anche particolarmente difficile da accettare concettualmente», ha detto in una parte del suo intervento. C’è «difficoltà nell’accettare l’idea che una persona capace di intendere e volere possa fare una cosa del genere. Pensiamo che chi l’ha fatto sia pazzo. Ma questo ormai lo dobbiamo eliminare dal nostro pensiero perché abbiamo ben due perizie d’ufficio, oltre alle consulenze di parte».
Non dello stesso parere l’avvocata di Pifferi, Alessia Pontenani che ha sostenuto l’incapacità di ragionare della sua cliente: «Quando si parla con Alessia Pifferi, ci si rende conto che è un vaso vuoto». «Tutti i test anche del primo grado – ha aggiunto la legale in aula – ci dicono che Pifferi non ragiona. Non riesce a trovare soluzioni alternative. Non è una persona normale. Lei ragiona a modo suo. Nel momento in cui lascia la prima volta la bambina da sola con due biberon, arriva a casa e vede che sta bene».




