Bonifici transcontinentali, denaro occultato e amanti cinesi. Sono gli ultimi dettagli dell’inchiesta condotta dalla Procura di Roma sulle commissioni milionarie per l’acquisto di 800 milioni di mascherine dalla Cina, richieste durante il primo lockdown dalla struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri. Tre consorzi cinesi (Wenzhou Light, Wenzhou Moon-Ray e Loukai Trade), dopo aver fornito la partita da 1,25 miliardi di euro, avrebbero pagato quattro società (Sunsky Srl, Partecipazioni Spa, Microproducts It Srl e Guernica Srl) gestite da otto persone. Sarebbe il compenso per aver svolto una funzione di intermediazione con l’Italia. L’operazione del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, ha sequestrato ai mediatori una barca da 770mila euro, moto, gioielli e beni immobili, per un valore complessivo di 69,5 milioni di euro. I reati contestati sono vanno dal traffico illegittimo di influenza alla ricettazione, passando per riciclaggio e auto-riciclaggio. Per i magistrati della Procura della capitale, Fabrizio Tucci e Gennaro Varone, gli indagati, «freelance improvvisati desiderosi di speculare sull’epidemia», avrebbero ottenuto indebitamente un accesso preferenziale nei rapporti con gli interlocutori stranieri.

Chi sono gli indagati – Oltre al giornalista Mario Benotti, presidente del consorzio Optel e di Microproducts It, anche altri avrebbero agito in maniera illecita: la sua compagna Daniela Guarnieri, l’imprenditore Andrea Tommasi, il banchiere Daniele Guidi, Antonella AppuloGeorges Fares Khozouzam, Dayanna Andreina Solis Cedeno e il trader ecuadoriano Jorge Solis. Stando al rapporto della Procura, visti i facili profitti ottenuti durante il primo lockdown, speravano che ne «esplodesse» un altro. Attualmente Arcuri non è indagato: «Allo stato non vi è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione di corrispettivo». «Da quanto emerso dalle indagini risulta evidente che la struttura commissariale e il Commissario Arcuri, estranei alle indagini, sono stati oggetto di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati», dichiarano i responsabili della struttura commissariale. Si valuta, pertanto, la costituzione di parte civile in giudizio per «ottenere il risarcimento del danno in quanto parte offesa».

Cos’è successo – Al centro delle indagini ci sono 1.282 contatti telefonici tra il supercommissario e Benotti. Quest’ultimo, giornalista in aspettativa, indagato per traffico di influenze illecite, avrebbe sfruttato «le sue relazioni personali con Domenico Arcuri», per fare affari. I due avrebbero avuto tra gennaio e maggio 2020 un fitto interscambio, lo stesso che avrebbe permesso al «comitato d’affari», così definito dagli inquirenti, di interloquire con i produttori dei dispositivi di protezione individuale. Secondo i verbali, l’ufficio dell’amministratore delegato di Invitalia sarebbe il luogo in cui è iniziata questa vicenda controversa. L’influenza su Arcuri, per i pm, sarebbe stata spesa da Benotti per ottenere ben 12 milioni di euro (tramite la Microproducts It) quale «remunerazione indebita» sulle «commesse di fornitura dispositivi di protezione individuali ordinate dal Commissario straordinario alle tre società cinesi individuate grazie alla intermediazione di Andrea Tommasi (titolare della Sunsky Srl) con Daniele Guidi e Jorge Solis San Andres (titolare della Guernica Srl), i quali ricevevano provvigioni, rispettivamente di 59 milioni e 5 milioni e 800».

Il giudizio della Procura – Le relazioni tra Arcuri e Benotti sarebbero iniziate ben prima del 10 marzo: quel giorno fu emanato il Dpcm che prevedeva l’applicazione della zona rossa su scala nazionale. «Questo dà l’idea dell’informalità con la quale si è proceduto […] In quel momento nessuna norma consentiva ancora deroghe al codice dei contratti», scrivono i pm sul decreto del sequestro. La prima stipula per l’intermediazione è stata fatta il 25 marzo e in quel momento «la struttura commissariale ancora non esisteva, almeno ufficialmente». Secondo i magistrati, «si delineava così la nascita di un lucroso patto (occulto) con una pubblica amministrazione; un comitato d’affari, nel quale ognuno dei partecipi ha messo a servizio del buon esito della complessa trattativa la propria specifica competenza, ricevendone tutti un lauto compenso per l’opera di mediazione compiuta». I contatti telefonici si sarebbero interrotti a maggio. Dopo 150 giorni, Arcuri avrebbe smesso di rispondere al telefono. Nonostante il tentativo di ricontattarlo, Benotti temeva fin da subito che la ragione di quella brusca cessazione fosse dovuta a «qualcosa che stava per pioverci addosso». Il giornalista in aspettativa secondo gli inquirenti era un vero e proprio «passepartout». «L’accesso preferenziale al gradimento di un funzionario pubblico vulnera la sua imparzialità (di Arcuri, ndr)», scrivono gli inquirenti. Per tal motivo «la retribuzione del credito personale speso dal mediatore verso il pubblico ufficiale si connota di illecito; poiché tale retribuzione compra un privilegio di accesso, superando il filtro delle pari opportunità».

La difesa dei protagonisti – Nel frattempo il collegio difensivo di Mario Benotti e Daniela Guarnieri ha annunciato che si opporrà all’operazione del sequestro. In una nota i legali esprimono il loro dissenso e l’intenzione di agire in difesa dei due indagati: «La Procura di Roma mette sotto accusa Mario Benotti che non ha fatto altro che agire, nella sua veste professionale di consulente, su esplicita e reiterata richiesta, orale e scritta, del Commissario all’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri, per favorire l’arrivo in tempi rapidi di un rilevante quantitativo di dispositivi di protezione individuale, in un momento in cui il Paese affrontava una crisi sanitaria senza precedenti ed era pressoché impossibile reperire tempestivamente da aziende nazionali i dispositivi necessari».