Nel 2012 Bologna aveva un problema: decidere il destino del Caab, il centro agroalimentare, un’area di 100mila metri quadri alla periferia della città che ospitava il mercato ortofrutticolo. L’idea di Andrea Segré, presidente del Caab, fu di affidare il progetto al patron di Eataly Oscar Farinetti. L’obiettivo: creare un tempio del made in Italy, il supermercato 2.0 in cui il cliente può seguire i processi di lavorazione di un prodotto,  dalla materia prima al piatto. Cinque anni e 75 milioni di fondi privati dopo, tutto è pronto per l’inaugurazione di Fico, acronimo di Fabbrica italiana contadina. Grande 14 campi da calcio, al suo interno ci saranno più di 200 animali, 2000 piante e 40 fabbriche che produrranno carne, pesce, formaggi e dolci. Ci lavoreranno 800 persone, 3000 in totale contando l’indotto. Obiettivo, 6 milioni di visitatori l’anno.

Foto e video di Sara Del Dot

Un giro all’interno – Dei 10 ettari di terreno, i 2 allo scoperto sono occupati dalle fattorie con gli animali – due o tre esemplari per razza con un cartello che ne indica il tipo e l’origine – e dai campi appena piantati: l’agrumeto, l’uliveto, il vigneto e il granaio. All’interno gli stand delle imprese, alcune con un laboratorio in cui verranno svolti corsi didattici per mostrare come si producono diverse eccellenze italiane come il vino o l’olio, quasi tutte con una cucina a vista in cui si potrà osservare con i propri occhi come vengono lavorati il panino o la pizza serviti poco dopo. Quasi tutte le aziende presenti sono partner storiche di Eataly e Coop, uno dei principali sponsor della struttura, per cui più che ammirare il lavoro del piccolo artigiano si assiste alle meraviglie della tecnologia: robot che interagiscono con gli uomini e producono i biscotti di una nota marca, o la macchina che tosta i chicchi di caffè di un altro brand assai conosciuto.

Critiche – Tutto bene? No, perché gli oppositori del progetto non mancano. Protestano in primo luogo per l’affidamento di una superficie pubblica così grande direttamente a Farinetti, senza un bando di gara. Poi, per l’adesione di Fico al progetto di alternanza scuola-lavoro che, scrive il collettivo Lubo «fagociterà oltre 300mila ore di alternanza scuola-lavoro per circa 20mila studenti di 200 scuole sparse sull’intero territorio italiano». Polemiche anche per la modalità di concessione degli spazi all’interno di Fico: le aziende non pagheranno l’affitto a Eataly, ma delle percentuali sull’incasso: 20% sulle vendite, 30% sulla ristorazione, un meccanismo che, secondo i detrattori, esclude le piccole imprese vere eccellenze del territorio. Fa discutere anche che l’aspetto didattico sia lasciato per intero nelle mani delle aziende, conseguenza di aver lasciato che il progetto fosse finanziato solo da fondi privati, 75 milioni raccolti tra casse di previdenza, società cooperative e imprenditori locali. Ma il vero dubbio, in fin dei conti, sembra essere all’origine dell’idea di Fico: si può celebrare la biodiversità dell’Italia accentrando il meglio di ciò che lo Stivale produce in 100mila metri quadri di terreno alla periferia di Bologna? Per Farinetti e soci la risposta sì, e la sfida da ieri è lanciata: portare 6 milioni di visitatori l’anno – di cui 2 stranieri – a visitare la Disneyland del cibo.