Un “niet” all’accanimento giudiziario ai tempi di crisi. E un gesto di compassione per chi si trova a delinquere perché non ce la fa. È questo il richiamo del giudice Giampaolo Mantellassi, del Tribunale di Arezzo. Lui per primo si è trovato ad assolvere chi ruba per sopravvivere. E in un’intervista al quotidiano Il Tirreno ricorda che il codice penale prevede la possibilità di non punire chi commette un reato in stato di necessita. Sempre più spesso chi si trova sul banco degli imputati per aver commesso il furto ha dovuto farlo per non morire di fame o di freddo. Storie sconvolgenti che passano in rassegna davanti agli occhi del giudice aretino quasi ogni giorno. E, con l’aria che tira, potrebbero esser ambientate in qualsiasi angolo dell’Italia.
Nella sua intervista, Mantellassi ricorda di aver celebrato un processo per furto aggravato per un importo di 6,50 euro. Ecco il magro bottino: due barrette di cioccolato, un pezzo di formaggio e uno di pancetta. La situazione era resa ancor più ridicola dal fatto che il costo del processo – minimo 200 o 300 euro – superasse di gran lunga la refurtiva. “Furti di questi importi e di questi generi alimentari sono espressione di un allarme sociale che non dovrebbe sfuggire”, ha confessato la sua preoccupazione Mantellassi.
Ma a colpire ancor più il magistrato è stato il caso di un uomo che aveva rubato un giubbotto a dicembre, scegliendo il meno costoso, pur di non morire di freddo. “Forse è il caso che la legislazione si adatti alle mutate condizioni sociali?”, si domanda il magistrato. E suggerisce subito un’eventuale soluzione di un vuoto della normativa nei confronti delle persone costretti a rubare dalla disperazione. In questi casi, secondo Mantelassi, basterebbe sostituire la condanna penale (che può arrivare fino a due anni) con una sanzione amministrativa.
Anna Lesnevskaya