Figli di bancari, impiegati e agenti di commercio, cresciuti tra l’oratorio e i videogiochi nei quartieri residenziali della provincia di Monza. L’aspetto è quello di tanti coetanei che a volte finiscono sulle cronache con l’appellativo di «maranza». È questo l’identikit dei giovani che lo scorso 12 ottobre hanno aggredito uno studente di 22 anni della Bocconi lasciandolo in fin di vita e probabilmente invalido. I cinque ragazzi ripresi nel video di un impianto di videosorveglianza daranno la loro versione al Giudice per le indagini preliminari domani, venerdì 21 novembre. L’accusa è di tentato omicidio e rapina pluriaggravati in concorso. Due hanno 18 anni, Alessandro Chiani e Ahmed Atia, e si trovano al carcere di San Vittore, i tre diciassettenni, tutti italiani, sono invece al penitenziario minorile Cesare Beccaria.
La violenza – I fatti risalgono al 12 ottobre. Dopo una serata in corso Como, polo della movida milanese, i cinque incontrano la vittima, poco più grande di loro, e con una scusa gli rubano una banconota da 50 euro. Lui li insegue per recuperarla ed è lì che inizia la violenza. Calci, pugni, coltellate. Nell’attacco il giovane perde quattro litri di sangue (su cinque) e riporta lesioni che potrebbero lasciarlo con una disabilità motoria per il resto dei suoi giorni. I commenti degli aggressori sono stati intercettati dalla polizia nella sala d’attesa della procura di Milano: si auguravano che il ferito, che intanto in ospedale lottava per la sopravvivenza, morisse («se serve vado a staccargli i cavi») o si vantavano delle loro gesta («Io anche voglio vedere il video, voglio vedere se ho picchiato forte»). A incastrarli sono stati i commenti lasciati sotto un video Tiktok della consigliera leghista Silvia Sardone sui sei accoltellamenti del 25 e 26 ottobre. «Il 7 non l’hanno scoperto ancora» scrive G.M., 17 anni. Si riferisce all’aggressione a cui anche lui ha partecipato.
Gli aggressori, «maranza» del ceto medio – Chiani, 18 anni, è quello che materialmente avrebbe sferrato le coltellate. Come altri due dei coinvolti è cresciuto a Triante, quartiere di Monza in cui si alternano palazzine e villette residenziali. Ha frequentato l’oratorio fino alle medie, poi le cose hanno preso una piega diversa. A suo carico risulta una denuncia per furto. Un altro degli aggressori è figlio di un agente di commercio, un altro gioca a calcio in una società sportiva monzese e vive in un elegante condominio, il padre è bancario. I giovani si presentano però con l’aspetto che sui giornali viene chiamato da «maranza». «È una questione di simboli, un bisogno di appartenere a qualcosa che va oltre la provenienza o lo status economico. I giovani sentono la necessità di far parte di una comunità, a un immaginario aggressivo che viene rispecchiato anche un po’ dalla musica che ascoltano», aveva spiegato Ginevra Morali che da anni segue i ragazzi del Centro di aggregazione del quartiere milanese Giambellino ai microfoni del podcast «Figli del quartiere» della scuola di giornalismo Walter Tobagi. «Quelli che vengono chiamati maranza non sono solo i ragazzi della marginalità. Conosco figli di miei amici, persone benestanti e di cultura, che si vestono esattamente come i ragazzi del quartiere. Tra questi c’è sicuramente qualcuno che delinque, ma non c’entra con il modo in cui si vestono o il Paese da cui vengono i loro genitori».




