E’ al primo piano del civico 3796 di Rio Terà de la Mandola, nel sestriere di San Marco, l’appartamento di alcuni dei sospetti estremismi islamici in cui, nella notte tra il 29 e il 30 marzo, hanno fatto irruzione i Carabinieri e i Nocs. Nelle stesse ore un altro blitz era in corso al civico 1776 di San Marco, il covo della cellula jihadista che progettava di far saltare il Ponte di Rialto e che faceva largo uso, come sta emergendo dall’esame dei profili Internet, di Instagram come strumento di propaganda. L’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Venezia ha portato all’arresto di tre uomini di nazionalità kosovara, tutti sotto i trent’anni. Il quarto, un minore, è in stato di fermo.
La cellula jihadista- Gli arrestati sono Fisnik Bekaj, di 24 anni, Dale Haziraj, di 25 e Arjan Babaj, 27 anni, predicatore e presunto leader della cellula. Originari del Kosovo, erano in Italia da due anni e lavoravano come camerieri in due bar di San Marco. Sembra che avessero manifestato l’intenzione di partire per la Siria, per unirsi alle milizie del Califfato. E proprio dalla Siria era tornato Babaj, passando per il Kosovo. Era stato il suo spostamento a destare i primi sospetti e a indurre la magistratura veneziana a monitorare il gruppo. «Con Venezia guadagni subito il paradiso per quanti miscredenti ci sono qui, mettere una bomba a Rialto», si sente dire in una delle intercettazioni che hanno fatto scattare la maxi-operazione antiterrorismo. Il particolare è stato rivelato dal procuratore reggente Adelchi D’Ippolito, secondo il quale il gruppo jihadista aveva un’organizzazione di tipo piramidale: al vertice c’era Babaj, con il ruolo di reclutatore, mentre Bekaj e Haziraj dovevano addestrare al combattimento. Proprio l’attività di addestramento sulle tecniche di uccisione con un coltello e sulla fabbricazione di esplosivi ha dimostrato che il gruppo era potenzialmente in grado di passare all’azione. I loro commenti entusiasti dopo l’attentato di Londra hanno fatto capire agli inquirenti che era il momento di intervenire.
L’operazione- Sono state eseguite 12 perquisizioni nel corso dell’operazione: dieci nel centro storico di Venezia, una a Mestre e una a Treviso. L’indagine è stata svolta dal reparto operativo dei Carabinieri e dalla Digos, che hanno ricostruito le relazioni tra i vari soggetti, i loro spostamenti e il grado di radicalizzazione e adesione alla propaganda dell’Isis. «La miglior bevanda è il sangue dei kafiri (miscredenti, ndr)», questo è uno dei frammenti delle intercettazioni che si leggono nelle 41 pagine dell’ordinanza del gip.
Il materiale sequestrato- Nei due appartamenti del centro storico sono stati trovati molti documenti e almeno un paio di computer i cui hard disk sono ora all’esame degli esperti di polizia e carabinieri. Intanto si è scoperto che per le loro esercitazioni i tre seguivano dei video tutorial in francese. Usavano inoltre profili Facebook e Instagram privati. Tra i loro follower compaiono i nomi di alcuni foreign fighters e seguaci del Califfato. Contenuti di propaganda anti-occidentale e proselitismo coranico sembrano caratterizzare l’account Instagram di Bekaj, che aveva ben 18mila follower. Attraverso i like gli inquirenti sperano di risalire all’identità dei sostenitori della cellula.