L’aereo con le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano è arrivato in Italia il 10 marzo in piena notte, quasi a non volersi far notare e a non dare ulteriore visibilità ad una vicenda che è stata gestita con difficoltà fin dall’inizio. C’è voluta una settimana di trattative, ma alla fine ce l’hanno fatta, i corpi dei due tecnici della Bonatti uccisi il 4 marzo in Libia sono finalmente tornati a casa. Ad aspettarli all’aeroporto di Ciampino c’erano i parenti e il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. In giornata è prevista, al policlinico Gemelli di Roma, la seconda autopsia, dopo il primo esame autoptico già effettuato in Libia contro il volere dell’Italia. Continua intanto l’ira della famiglia Failla, che accusa il Governo di non aver tutelato Salvatore – «neanche da morto» – e di averlo così ucciso due volte. E rifiuta i funerali di Stato.
Il C-130 dell’aeronautica militare partito da Tripoli è atterrato a mezzanotte e quaranta. Dopo un quarto d’ora il portellone è stato aperto, le bare trasferite nei carri funebre e benedette da un prete direttamente sulla pista d’atterraggio. Il rito funebre è durato mezz’ora, il più lungo di sempre sulla pista dell’aeroporto, e ha visto la partecipazione silenziosa dei parenti. Nei giorni scorsi Gentiloni ha escluso la possibilità di un intervento diretto dell’Italia in Libia, se non previa autorizzazione da parte del Parlamento.
Il ritorno della salme è stato oggetto di un braccio di ferro fra Italia e Libia durato una settimana. Da un lato il nostro Paese, che dal 4 marzo esigeva la restituzione immediata dei corpi. Dall’altro il governo di Tripoli, che temporeggiava e dichiarava l’esigenza di effettuare l’autopsia subito. Il primo esame autoptico, effettuato sotto il controllo di un funzionario italiano, potrebbe però aver reso inutili ulteriori controlli in Italia. «Speriamo che non abbiano lavato i cadaveri», spiega Orazio Cascio, uno dei due medici legali che accompagnano la famiglia Failla. «Perché così facendo avrebbero distrutto ciò che a noi serve per capire da quale distanza sono partiti i colpi. Di sicuro i proiettili li hanno già estratti». Il ritorno delle salme non ha placato, insomma, le polemiche, soprattutto da parte dei congiunti di Failla, che continuano ad accusare lo Stato di non aver gestito la vicenda in modo adeguato. Spunta anche una telefonata effettuata dall’uomo il 13 ottobre scorso alla moglie Rosalba. Nella registrazione Salvatore, che allora era prigioniero da tre mesi, chiedeva aiuto e cure mediche e la scongiurava di parlare con tv e giornali. «Ma ci hanno detto di stare zitti e non rispondere», accusa la moglie. «E ora mi sento in colpa». Il telefono nei mesi successivi ha continuato a squillare, sempre da quel numero libico, ma la famiglia, seguendo il consiglio della Farnesina, non ha più risposto. Nella registrazione si sente anche la voce di un rapitore che parla italiano, nonostante i due sopravvissuti, Policardo e Calcagno, smentiscono che i loro aguzzini sapessero parlare la nostra lingua.
Gabriele Nicolussi