Una reclusione a vita che ha il sapore di una condanna a morte. Questa la spada di Damocle che pende sulla testa del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, e che continuerà a pendere ancora per alcuni giorni, dopo che il 21 febbraio l’Alta Corte di Londra ha deciso di rimandare a data da destinarsi il verdetto sulla sua estradizione negli Stati Uniti. Secondo i suoi legali, il ritorno in America potrebbe costare all’hacker australiano una condanna a 175 anni di carcere per spionaggio. I giudici britannici hanno quindi deciso di ritirarsi per deliberare, prendendo tempo per valutare le argomentazioni delle parti emerse durante le due giornate di udienze.

Le accuse – A sostegno dell’estradizione gli Stati Uniti presentano ormai da anni l’accusa, contro Julian Assange, di aver violato l’Espionage Act del 1917, una legge federale creata durante la Prima guerra mondiale per punire sabotatori e traditori. Più nello specifico, Assange, pubblicando documenti top secret, avrebbe messo in pericolo la vita di informatori e fonti americane. Secondo i legali rappresentanti degli Usa, poi, l’attivista avrebbe anche reclutato altri hacker e spinto le sue fonti a rivelare informazioni riservate.

La difesa – Da parte sua, durante l’udienza di lunedì, la difesa dell’australiano ha ricordato che gli accordi tra Usa e Regno Unito proibiscono l’estradizione per motivi politici. I legali hanno poi di nuovo fatto riferimento a un possibile complotto americano messo in atto affinchè la Cia rapisse o uccidesse il fondatore di Wikileaks, che al momento è rinchiuso da cinque anni nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel sud est di Londra. La detenzione e l’isolamento, inoltre, lo hanno provato al punto da avergli impedito di essere presente, per motivi di salute, alle due udienze, secondo quanto riferito dalla moglie e dai suoi difensori.

La vicenda giudiziaria – Quello di lunedì è solo l’ultimo atto di una vicenda giudiziaria che parte da lontano. Tutto comincia nel 2007, quando Julian Assange, giornalista, programmatore e hacker, fondò il sito web WikiLeaks, sul quale pubblicò immagini, video e documenti governativi classificati che svelarono i crimini di guerra commessi degli americani ai danni dei civili durante le missioni militari in Iraq e in Afghanistan. Nel 2010 la Svezia emise un mandato di arresto contro Assange per un’accusa di stupro (poi archiviata per prescrizione). Lui si rifugiò a Londra dove venne catturato e in seguito rilasciato su cauzione. Ma prima che l’estradizione in Svezia fosse attuata, Assange ottenne asilo politico all’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove visse protetto per sette anni. Espulso nel 2019, fu subito arrestato dai servizi segreti britannici e da cinque anni vive rinchiuso nel carcere di Belmarsh. Gli Usa hanno fatto ricorso a una prima sentenza del tribunale inglese che aveva bloccato la sua estradizione e hanno ottenuto così il trasferimento oltreoceano del giornalista. Nonostante ad Assange sia stato proibito di ricorrere a un nuovo appello, i suoi legali hanno presentato all’inizio di quest’anno una nuova istanza contro l’estradizione, che si è appunto conclusa, per il momento, con la sospensione di lunedì.

Il futuro – La moglie di Assange, Stella Moris, ha affermato che dalla sentenza dell’Alta Corte dipenderà non solo l’esito della vicenda giudiziaria ma anche il destino del marito. «Julian non potrà mai essere al sicuro negli Stati Uniti – ha dichiarato la donna al Fatto Quotidiano – è il paese che ha tramato per assassinarlo». Come riferisce Ispi, tuttavia, se i giudici dovessero pronunciarsi a favore dell’estradizione resterebbe ancora la possibilità di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.