I risultati del tavolo tecnico istituito dal governo per mappare le spiagge italiane non ancora in concessione non sono «idone»i. È quanto si legge nel documento ufficiale inviato invia dalla Commiossione all’Italia, che ha spedito una lettera di messa in mora nei confronti del nostro Paese. L’Italia avrà due mesi di tempo entro i quali presentare le proprie osservazioni, per evitare un’ulteriore segnalazione alla Corte di giustizia Ue sul pluriennale problema della messa a gare delle concessioni balneari.
Il documento italiano – Questo è solo l’ultimo capitolo dello scontro tra Italia e Unione Europea sulla questione delle concessioni balneari, che va avanti da quando, nel 2006, è entrata in vigore la direttiva Bolkestein, secondo cui le concessioni di beni pubblici devono essere assegnate con procedura di gara e non con un rinnovo automatico, quando sono limitate a causa della scarsità delle risorse naturali. Lo studio del tavolo tecnico del governo, che ha coinvolto diversi ministeri e associazioni dei balneari, di fatto contesta proprio la penuria di spiagge libere presenti sul territorio. Secondo il documento consegnato alla Commissione europea, le spiagge libere sarebbero quasi il 70%, mentre la quota di aree occupate dalle concessioni equivale al 33%. Percentuali che, per il governo, giustificherebbero il mancato rispetto della direttiva Bolkestein. Calcoli che, però non tornano alla Commissione Europea. Per arrivare a questi dati, il Governo avrebbe considerato come balneabili anche zone inaccessibili, come scogliere, porticcioli, foci di fiumi. Nel documento, infatti, si legge che tra le aree di costa considerate libere ci sono anche quelle «di minore accessibilità per condizioni naturali, potendo essere interessate da investimenti di riqualificazione tali da renderle attrattive per lo sviluppo di nuove attività economiche». Inoltre il computo non ha «riguardato unicamente le parti sabbiose, ma è da includersi anche la parte di costa rocciosa, poiché su quest’ultima è possibile installare strutture turistico-ricreative, e inoltre in alcuni casi opere a difesa della costa sono state concretamente utilizzate a fini turistico ricettivi». Contestata anche l’unità di misura presa in considerazione, in chilometri quadrati e non lineari. In questo modo le aree occupate risulterebbero essere estese “solo” per 127 mila chilometri.
La replica di Bruxelles – Netta la risposta dell’Unione Europea: «Si indica che il totale delle aviosuperfici, il totale dei porti con funzioni commerciali, il totale delle aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia, le aree marine protette e parchi nazionali non sono stati esclusi dal totale di riferimento delle aree disponibili, ma sono stati inclusi nel calcolo che ha portato al suddetto 33 per cento». Di qui la conclusione: «Alla luce di quanto precede, risulta che i risultati dei lavori del “tavolo tecnico” non siano idonei a dimostrare che su tutto il territorio italiano non vi è scarsità di risorse naturali oggetto di concessioni balneari».
I rischi- Il mancato rispetto della direttiva europea in tema di concessioni balneari mette a rischio i fondi del Pnrr, che tra i criteri di assegnazione hanno anche il rispetto della concorrenza, oltre che esporre il Paese al rischio di una multa da centinaia di milioni di euro. Dal 2006 a oggi, di volta in volta la scadenza di queste concessioni è stata rinviata. Nel 2021 il Consiglio di Stato aveva fissato la data del 31 dicembre 2023 come termine ultimo per riassegnare le concessioni balneari tramite procedure di gara. L’attuale governo, tuttavia, ha prolungato la scadenza fino al dicembre 2024, con il decreto Milleproroghe, incassando il parere negativo dell’Europa.