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Ernesto Diotallevi in un’immagine d’archivio (Ansa)

Un’abitazione da 14 vani e mezzo in piazza Fontana di Trevi e un complesso turistico in Sardegna. Sono solo una parte dell’impero di Ernesto Diotallevi, considerato dagli inquirenti uno dei capi storici della banda della Magliana. Ora quest’impero, dalla mattina di mercoledì 13 novembre, sembra essere finito, con il sequestro sia delle case che di altri beni, per un totale di 25 milioni di euro. Un patrimonio in parte intestato a prestanome e che sarebbe il frutto di un “illecito accumulo”. Questo sostengono gli investigatori, che – alla luce delle tante inchieste che coinvolgono Diotallevi – hanno dato il via al sequestro preventivo.

In totale gli immobili erano 42 tra Lazio, Marche e Sardegna. Ma nel mirino del sequestro, disposto dal Tribunale di Roma su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, sono finiti pure auto, moto, conti bancari, quote societarie e altre partecipazioni nel capitale e nel patrimonio di società attive in diversi settori, dall’energia ai trasporti. Tutto stava nel portafoglio di Diotallevi, di altri componenti della sua famiglia (la moglie Carolina Lucarini, i figli Mario e Leonardo) e di alcuni prestanome.

Secondo gli investigatori, lo spessore criminale di Ernesto Diotallevi, già indagato e poi assolto per l’omicidio del banchiere del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, sarebbe “da lungo tempo cristallizzato negli atti processuali di numerose inchieste, che hanno evidenziato l’illecito accumulo di grossi proventi che sarebbero tuttora nella sua disponibilità”.

Nella vita di Diotallevi c’è la scalata fino ai gradini più alti della banda della Magliana, l’organizzazione che nel tempo è arrivata a controllare moltissimi profitti illegali a Roma e nel Lazio. Poi, come dichiarato da più pentiti, il consenso di vari boss della mafia siciliana. Un “salto di qualità”, rilevano sempre gli investigatori, che trova riscontro anche in numerosi atti giudiziari, che ripercorrono un trentennio di storia criminale italiana: gli anni dal 1981 al 2013.

Giuliana Gambuzza