Svolta nelle indagini sul conflitto a fuoco in cui morirono la brigatista rossa Margherita Cagol e l’appuntato Giovanni D’Alfonso. Dopo quasi 50 anni, gli accertamenti dei carabinieri del Ris di Parma potrebbero dare un volto al fuggitivo che era con lei al momento della sparatoria che fece seguito al primo sequestro di persona a scopo di autofinanziamento operato dalle Brigate Rosse.
La riapertura delle indagini – Le indagini, affidate ai carabinieri del Ros e coordinate dai magistrati del pool sul terrorismo della Procura di Torino e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, sono state riaperte alla luce dell’esposto presentato dal figlio dell’appuntato morto nella sparatoria, Bruno D’Alfonso, anch’egli carabiniere: «E’ una questione di giustizia e di verità storica. Anche per onorare la figura di mio padre, un eroe che diede la vita per le istituzioni». L’attività investigativa, nell’ambito della quale sono stati interrogati a Milano alcuni ex brigatisti, fa seguito agli accertamenti scientifici cui sono stati sottoposti i reperti sequestrati all’epoca della sparatoria. Di particolare rilevanza, secondo Sergio Favretto, legale di D’Alfonso, sarebbe la macchina da scrivere utilizzata dal fuggitivo per redigere la relazione sulla sparatoria, consegnata ai propri vertici e rinvenuta nel covo delle Br di Maderno, nel gennaio 1976, dove erano nascosti e vennero arrestati Renato Curcio e Nadia Mantovani.
La «compagna Mara» – Cagol, che scelse come nome di battaglia Mara, era originaria di una famiglia della piccola borghesia di Trento. Laureata in Scienze Sociali all’Università di Trento, dove entrò a far parte del movimento studentesco e incontrò il futuro marito, Renato Curcio, fu fondatrice e «capocolonna» delle Brigate Rosse, partecipando al sequestro del magistrato Mario Sossi e guidando con successo l’assalto al carcere di Casale Monferrato, per liberare Curcio, lì detenuto. Protagonista, il 4 giugno 1975, del sequestro dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, morì il giorno seguente nello scontro a fuoco con i carabinieri, a Cascina Spiotta d’Arzello, in provincia di Alessandria, mentre il suo compagno fuggì nel bosco senza lasciare traccia.
Esecuzione arbitraria? – Secondo la versione brigatista dell’accaduto, il terrorista in fuga avrebbe sentito uno sparo in lontananza mentre si trovava nel bosco, pochi minuti dopo lo scambio di colpi: da qui l’accusa ai carabinieri di aver giustiziato “Mara” sul posto, a freddo, a sparatoria ormai terminata. I risultati dell’autopsia, indicando come causa di morte un colpo unico alla parte sinistra del petto, sabbero una conferma di questa ipotesi, mai dimostrata in sede giudiziaria. Nello scontro, in cui i brigatisti fecero anche uso di bombe a manbo, furono feriti altri due carabinieri, tra cui il tenente Umberto Rocca che perse un braccio e un occhio. Illeso l’imprenditore sequestrato