Annamaria Cancellieri e la sorella di Giovanni Falcone, Maria, a Palermo, 23 maggio 2013 (Ansa/Ciro Fusco

Annamaria Cancellieri e la sorella di Giovanni Falcone, Maria, a Palermo, 23 maggio 2013 (Ansa/Ciro Fusco)

«Le nostre carceri non sono degne di un Paese civile». Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, non usa mezzi termini per ribadire che la priorità, adesso, è il sistema penitenziario italiano. Una situazione intollerabile che riguarda 206 istituti e 65.917 persone – tanti i detenuti delle carceri italiane, a fronte di una capienza di 47.045 posti. Cancellieri lancia l’ultimo appello direttamente dall’aula bunker di Palermo, durante la commemorazione della strage di Capaci.

«Per risolvere il problema non basta costruire nuovi carceri, ma bisogna ripensare il sistema delle pene, valutando se ci sono spazi per quelle alternative», ha detto la Guardasigilli. Il sistema penitenziario italiano, che nelle intenzioni dell’art. 27 della Costituzione dovrebbe avere una finalità rieducativa, nei fatti è un’emergenza perenne. Troppe persone, poco lo spazio. Iniziative di rieducazione quasi inesistenti. Perché quando i detenuti in eccesso sono quasi 20 mila (circa il 40 per cento in più dell’effettiva capienza) portare avanti qualsiasi programma di rieducazione diventa un’impresa titanica. Teatro, sport, religione, laboratori di artigianato: passa tutto in secondo piano, inghiottito dai posti letto che mancano, dall’emergenza continua.

Le regioni con le carceri più affollate sono Lombardia e Campania: 4 mila detenuti in più nella prima, oltre 2 mila nella seconda. E proprio a Milano, a gennaio, era arrivato Giorgio Napolitano, per visitare il carcere di San Vittore, uno dei 19 istituti detentivi lombardi. Il capo dello Stato si era commosso: «Non c’è dubbio che San Vittore costituisca una sintesi di complessi problemi e di quotidiano disagio», aveva detto, al termine della visita che lo aveva portato fin dentro il sesto raggio, quello più affollato. «Non si può negare che siamo in una situazione di emergenza», aveva aggiunto Napolitano. Non si può, e infatti a gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire sette carcerati, detenuti negli istituti di Busto Arsizio e Piacenza, per un ammontare di 100 mila euro per danni morali. La Corte di Strasburgo ha dato al nostro Paese un anno di tempo per risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, dove ogni detenuto ha a disposizione meno di 3 metri quadrati di spazio.

Susanna Combusti