«Credo che chiunque abbia un quadro clinico irreversibile abbia il diritto di scegliere se e come morire. Aiutare Fabiano è stato un dovere, anche se clandestinamente». Nella terza udienza del processo a suo carico Marco Cappato resta convinto di ciò che ha fatto. E risponde così alla domanda della pm Tiziana Siciliano, che ha chiesto se si fosse sentito come il capro espiatorio della vicenda. Lo rifarebbe. Non è pentito nemmeno dell’autodenuncia che lo ha portato sul banco degli imputati con l’accusa di istigazione al suicidio nei confronti di Fabiano Antoniani, dj Fabo.

L’incontro con Fabo – Una deposizione, la sua, che ha ripercorso i momenti del suo rapporto con il Dj: dal primo contatto grazie alla mail della fidanzata, Valeria Imbrogno, fino alla clinica svizzera. E Cappato ricorda quel giorno e lo racconta alla giuria: «Durante le prove si era arrabbiato perché aveva faticato a schiacciare il bottone. Doveva chiudere la bocca ma l’immobilità del collo era un impedimento ulteriore». E prosegue «Il giorno della morte di Fabiano sono rimasto nella stanza fino a poco tempo prima che mordesse il bottone. Abbiamo parlato e mi ha salutato e ringraziato. Era tranquillo quel giorno». Un ricordo ancora vivido ma velato da pudore, che si conclude con l’immagine di Antoniani che chiama per un ultimo saluto i suoi “angeli custodi”, come li definiva lui stesso: la fidanzata e la mamma. Fabo, sottolinea Cappato, aveva la possibilità di tornare indietro, di ripensarci. «Gli ripetevo “Fabiano, basta che lo dici. Vuoi tornare a Milano? Ti metto sulla macchina e torniamo a Milano”». Ma ripensamenti non ne ha mai avuti. Aveva solo paura delle conseguenze penali per sua madre e Valeria.

La madre di Dj Fabo, Carmen Carollo, e la pm Tiziana Siciliano


Le richieste –
Una sfida, quella di Dj Fabo, che è il simbolo di tante altre battaglie. E per far capire l’intensità delle richieste di una morte dignitosa, l’imputato dà alcuni numeri. «Ciò che quelle persone patiscono è come essere inchiodati a una tortura che non vogliono,» continua Cappato «Ricevo ogni giorno richieste. Sono stato contattato da 454 persone da quando abbiamo iniziato questa azione pubblica», e conclude «Io ho agito secondo i miei principi ma credo siano gli stessi della Costituzione. Non ritengo di aver incentivato l’intento suicidario  di Fabo, ma solo di averlo aiutato a realizzare la sua scelta».

Il video – Una scelta che dalla scoperta della cecità perenne è sempre stata nella testa di Fabiano Antoniani. Lo hanno raccontato durante le scorse udienze la madre e la fidanzata del dj e lo ha dimostrato il video proiettato in aula.  Un filmato, in versione integrale, girato dalla troupe de Le Iene in cui il giornalista, Giulio Golia, parla con Fabiano. Gli fa domande sulla sua situazione, sulle sue sofferenze e sulla sua volontà di non continuare a vivere. Nonostante tutto. La visione viene aiutata dalla deposizione del cronista Mediaset stesso che racconta: «Era faticoso capirlo ma ci sono riuscito quasi sempre. Valeria mi aiutava. Lui faticava a parlare e non poteva muoversi, si stancava facilmente ma non ho mai dubitato della sua lucidità», afferma Golia. Durante l’intervista l’inviato l’ha incalzato più volte per provocarlo e testarlo. Ma anche per verificare che fosse una sua libera scelta». Le scene proseguono e alla domande rivolte a Fabo si alternano quelle a Valeria. Poi arrivano le sequenze mute, solo le immagini, in cui l’unico rumore è quello sordo e ritmico del respiratore. C’era all’inizio del filmato, c’è durante e non cessa di farsi sentire. Così come quello dell’aspirazione tramite cannula. Un’operazione che Valeria svolge abitualmente e senza difficoltà ma che per Fabo è fastidioso. L’aula si commuove. Le sue parole escono a fatica, solo i rumori restano. Chiari. Come la volontà di Fabo che con fatica dice «Io ho sempre lo stesso cielo, vedo nero».