Quante cose possono nascondersi dietro un “non sapevo”. Nel Paese della questione morale mai risolta, terzultimo in Europa per capillarità della corruzione secondo i dati di Transparency International, sono tanti gli amministratori pubblici che ricorrono a questa formula per giustificarsi. L’ultimo, in ordine di tempo, Francesco Spano, il direttore dell’Unar pizzicato dalle Iene con la tessera dell’Anndos, l’associazione al centro della bufera per i festini hard finanziati con denaro pubblico.

Claudio Scajola ritratto dal balcone della casa romana “ad insaputa” con vista Colosseo (2010)

In principio fu Scajola. “Forse mi hanno fatto un regalo a mio insaputa. Se solo trovo chi è stato…”, fu la reazione di Claudio Scajola, allora ministro dello Sviluppo Economico, quando i magistrati gli contestarono l’origine di un appartamento con vista Colosseo.

Scajola provò a giocare la carta dell’ignoranza – in senso tecnico – per sfuggire alla pressione dei giornali sul “curioso” versamento di Diego Anemone, il faccendiere romano che aveva contributo con 900.000 euro all’acquisto del loft del Ministro con vista Colosseo. Correva l’anno 2010. Non si salvò, nè politicamente nè davanti ai giudici, ma Scajola aveva inaugurato, “a sua insaputa” ovviamente, un genere: il “non sapevo” come giustificazione ad ogni accusa.

Oh Romeo. A finire nell’occhio del ciclone per un regalo “a sua insaputa” è stata pure la Sindaca di Roma, Virginia Raggi, sull’orlo del tracollo politico per la vicenda della polizza-vita intestata a suo nome dall’ex collaboratore Salvatore Romeo. Riemersa dall’interrogatorio-fiume con i magistrati, lo scorso 2 febbraio, Raggi ha escluso qualsiasi coinvolgimento diretto nell’indicazione del suo nome sul contratto d’assicurazione. Convincendo i vertici del Movimento 5 Stelle, almeno formalmente: i romani, chissà.

Sommersi e salvati. A dichiararsi increduli di vicende che li lambivano pericolosamente, nel mezzo, sono stati molti altri leader politici, a destra come a sinistra. C’è chi si è salvato da conseguenze politiche troppo pesanti, come Roberto Maroni, che quando scoppiò lo scandalo dei fondi dei rimborsi elettorali della Lega reinvestiti in spericolate operazioni in Tanzania, si dichiarò ignaro di tutto. E chi a forza di negare ed apparire scioccato dalle rivelazioni giornalistiche al suo riguardo finì per rimetterci la carriera, come Gianfranco Fini, la cui traiettoria politica iniziò a spegnersi – complice l’infuocata campagna dei media di stampo berlusconiano – tra i “non so” e i “verificherò” sulla vicenda della casa di Montecarlo, venduta da An al cognato Giancarlo Tulliani a prezzo sospetto.

Gli altri casi. Ma ad insaputa dell’interessato erano anche le “quattro spigole e 50 cozze pelose” accettate da Michele Emiliano, l’allora sindaco di Bari ora aspirante leader del centrosinistra, da Geraldo e Daniele Degennaro, due imprenditori pugliesi finiti in carcere per frode e corruzione. O gli affari loschi dei tesorieri di Lega e Margherita, Francesco Belsito e Luigi Lusi, agli occhi dei rispettivi segretari, Umberto Bossi (che coi fondi del partito si ritrovò perfino la casa ristrutturata, senza saperne nulla naturalmente) e Francesco Rutelli.