La Corte di Cassazione ha annullato il sequestro di telefono e computer compiuto dalla magistratura ai danni di Simone Innocenti, giornalista del Corriere Fiorentino indagato dalla Procura per concorso con uno o più pubblici ufficiali di rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio. Al centro del caso, un articolo di Innocenti sul suicidio di un’allieva alla Scuola marescialli e brigadieri dell’Arma pubblicato il 17 maggio 2024. Beatrice Belcuore, carabiniera di 25 anni, si tolse la vita con la pistola di ordinanza nel bagno della sua camera.
I fatti – A luglio 2024 le forze dell’ordine, su mandato della Procura fiorentina, hanno sequestrato e duplicato l’archivio informatico di Innocenti, con l’intento di risalire alla fonte del giornalista. A ottobre il tribunale del Riesame aveva poi ritenuto legittimo il decreto che lo aveva disposto. La legale di Innocenti, Caterina Malavenda, ha quindi presentato ricorso in Cassazione ottenendo l’annullamento del sequestro con la sentenza 98/2025.
La sentenza – «Questa sentenza non ha contenuti inediti, ma ha il pregio di essere molto sintetica e chiara», commenta Malavenda. Sono due i punti essenziali espressi dalla Suprema Corte: il primo è che «il giornalista che riceve un’informazione da un pubblico ufficiale senza averlo né sollecitato, né stimolato, né indotto, non concorre al reato di rivelazione di segreto d’ufficio», afferma Malavenda. «Non c’è prova del fatto che Innocenti abbia davvero concorso con un pubblico ufficiale rimasto ignoto», prosegue la legale.
Il secondo punto della sentenza riguarda il modus operandi della Procura di Firenze, ritenuto dalla Cassazione «non obiettivamente consentito alla luce del quadro normativo costituzionale e primario vigente». L’articolo 200, comma 3, del Codice di procedura penale garantisce al giornalista il segreto professionale, che può essere obbligato a violare solo dal giudice (non dalla Procura) se ciò è indispensabile per le indagini. Innocenti avrebbe quindi dovuto rivelare la sua fonte solo se un giudice glielo avesse ordinato, ritenendo quest’informazione indispensabile per le indagini in corso. Ma «la procura non ha fatto niente di tutto questo e per risalire alla fonte», sottolinea Malavenda, «ha fatto ricorso solo ad un sequestro massivo dell’intero archivio informatico al solo fine di identificare il pubblico ufficiale ignoto, così eludendo il segreto che sarebbe certamente stato opposto da Innocenti se avesse potuto farlo».