Allo stato attuale, i suoi comportamenti non sono «oggettivamente tali da riflettere il definitivo ripudio del passato stile di vita e l’irreversibile accettazione di modelli di condotta normativamente e socialmente conformi». Con queste parole, la Corte di Cassazione ha respinto ieri, 19 maggio, il ricorso presentato da Paolo Antonio Muzzi, l’avvocato di Renato Vallanzasca, ex boss della Comasina, condannato a quattro ergastoli. Gli ermellini confermano dunque la decisione emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano il 23 giugno 2020, giorno in cui fu rigettata la richiesta di libertà condizionale o semilibertà. Vallanzasca, 71 anni, 50 dei quali trascorsi in prigione, era tornato in cella a Bollate nel 2014. Aveva ottenuto un permesso premio di tre giorni. Pochi, certo, ma abbastanza per dissipare la sua aura leggendaria con modalità inaspettate, a tratti farsesche.

Il furto delle mutande – È il 13 giugno. A Milano è una giornata come tante. L’ex capo della banda della Comasina, gruppo criminale attivo nella Milano degli anni ’60-’70, si trova in un’Esselunga di Viale Umbria. Il “Bel René”, soprannome affibbiatogli data la sua avvenenza – un nomignolo che detestava -, viene notato dall’addetto dell’antitaccheggio del supermercato. Ma stavolta l’attenzione non è attirata da pistola, mitra o passamontagna, abituali strumenti utilizzati da Vallanzasca & Co. nel corso della loro carriera delinquenziale, che comprendeva rapine, sequestri di persona e traffico d’armi. L’agente della security assiste invece a un insolito Vallanzasca intento a rompere la confezione di un paio di mutande, per poi nasconderle dentro uno zainetto, insieme a un paio di cesoie e a una bottiglia di diserbante. Valore totale del bottino: 70 euro. Arrivato alla cassa per pagare il resto della spesa, viene invitato dal dipendente a ridare indietro la merce rubata. Ma l’ergastolano, temporaneamente libero in virtù di un permesso premio di tre giorni, si rifiuta. L’addetto non riconosce l’uomo che ha di fronte e, come vuole la regola, chiama i carabinieri. La risposta di Vallanzasca non tarda ad arrivare: «Adesso vedrete che casino viene fuori», minaccia. Non appena arrivati, i carabinieri della radiomobile non credono ai loro occhi. Alla caserma Montebello, in via Vincenzo Monti, “il bandito dagli occhi di ghiaccio” non ammette il furto e si rifiuta di parlare con gli investigatori. Processato per direttissima a porte chiuse dal Tribunale di Sorveglianza il giorno seguente, il “Bel René” è stato condannato a tornare in regime di detenzione dal giudice Ilaria Simi De Burgis.

Gli esordi e il primo arresto – La leggenda di Vallanzasca inizia nel quartiere del Giambellino. È ancora un adolescente quando mette su una banda di piccoli delinquenti che si dedicheranno da lì in poi a furti e taccheggi. Contrapposta alla gang di Francis Turatello, altro noto criminale milanese, la Banda della Comasina riuscirà in poco tempo a conquistare bottini preziosi e notorietà. Vallanzasca, responsabile delle molteplici scorrerie piratesche del gruppo, accumulerà ingenti ricchezze. Non solo: farà dell’ostentazione dello sfarzo la sua cifra caratteristica. Ma, a dispetto di una rapida e scontata ascesa, la sua carriera criminale subisce la prima battuta d’arresto nel 1972, a soli 22 anni. Dopo una rapina a un supermercato, verrà infatti arrestato.

Il ritorno della Banda – A San Vittore trascorrerà 4 anni e mezzo. Un periodo durante il quale si renderà protagonista di vari tentativi d’evasione. Tra risse, pestaggi e sommosse, cambierà ben 36 penitenziari. Un’impresa titanica anche per i criminali più temuti. A questo tour va aggiunta un’altra iniziativa degna di nota: contrarre volontariamente l’epatite. Fa tutto parte di un piano. Lo dimostra il fatto che, ricoverato in ospedale, evaderà dallo stesso nel 1976. E, una volta tornato in libertà, non passerà molto prima che ricostituisca la banda, la stessa che realizzerà una di settantina rapine a mano armata e una lunga scia di omicidi, tra cui quattro poliziotti, un medico e un impiegato di banca.

Cambiano gli obiettivi – Sempre nello stesso periodo, la società milanese assiste inerme a un passaggio cruciale nei progetti di Vallanzasca e compagni: dall’esecuzione delle sole rapine a quello dei sequestri di persona. In tutto saranno quattro, di cui due mai denunciati. Destò scalpore il rapimento di Emanuela Trapani, figlia di un imprenditore milanese, liberata dietro il pagamento di un miliardo di lire. A questo episodio, il 6 febbraio 1977, seguirà l’omicidio di due uomini della polizia stradale.

Il matrimonio in carcere –  Dopo aver cercato rifugio a Roma, verrà rintracciato e catturato. Tornato in carcere, deciderà di sposarsi nel 1979 con Giuliana Brusa, una delle tante ammiratrici che gli scrivevano, ammaliate dalla sua bellezza. Albert Bergamelli, membro del clan dei Marsigliesi, verrà scelto come suo testimone di nozze. Francis Turatello, lo storico arcinemico, consegnerà invece gli anelli. Un momento felice, che non gli impedirà però di evadere per l’ennesima volta. Nell’aprile del 1980, tenterà la fuga dal carcere di San Vittore. Lo farà in modo rocambolesco, prendendo in ostaggio un brigadiere e scappando nei tunnel della metropolitana di Milano. Lì, nei sotterranei milanesi, sarà nuovamente catturato.

Il detenuto decapitato e le ultime fughe – Passa un anno e nel 1981, nella prigione di Novara, Vallanzasca terrà ancora una volta fede alla sua fama, uccidendo un ex membro della sua banda, Massimo Loi, accusato di essere una spia. Ma la morte del compagno non sazia la sua sete di vendetta: infierisce sul cadavere fino a staccargli la testa. Il Re della Banda negherà sempre la propria responsabilità in questo macabro episodio. Nel 1983 fu accusato da alcuni pentiti di far parte della Nuova camorra organizzata. Accusa smentita dall’assoluzione nel processo in cui era coinvolto anche Enzo Tortora. Evaderà nuovamente il 18 luglio 1987,attraverso un oblò del traghetto che da Genova avrebbe dovuto portarlo al carcere di Nuoro in Sardegna. Ricercato e senza fonti di reddito, l’8 agosto 1987 verrà fermato a un posto di blocco a Grado, dopo aver soggiornato alcuni giorni nella rinomata località turistica. Tenterà l’ultima fuga, nel 1995, questa volta dal carcere di Nuoro.

Il commento di Prezzolini – Renato Vallanzasca non è stato solo un criminale. Le sue azioni, ardite e spericolate, hanno assunto nel tempo un valore particolare, iscrivendosi in un romanzo popolare e avvincente. Come ha teorizzato il giornalista e scrittore Giuseppe Prezzolini, i briganti hannno sempre avuto un posto particolare nel nostro immaginario collettivo: «Gli Italiani hanno idealizzato il brigante. Per loro il brigante è il prodotto dell’ingiustizia, Non esiste quasi epoca della storia italiana né regione italiana che non abbia avuto i propri fuorilegge, sempre benvoluti. Questi banditi erano, in generale, tipi rozzi, ignoranti, in alcuni casi sciocchi e pazzi, spesso crudeli e non di rado codardi. Ma le masse italiane dei poveri e dei diseredati, in specie dei contadini, li hanno idolatrati e hanno amato teneramente il brigante perché ha il coraggio di tagliare i ponti con le ipocrisie sociali e non accetta la legge del ricco e del potente […]».