Alle 10 di mattina, di domenica 20 gennaio è arrivata la prima richiesta di aiuto attraverso Alarm Phone, il sistema di allerta telefonico utilizzato per segnalare imbarcazioni in difficoltà. Ci sono 100 persone, tra cui 20 donne e 12 bambini, in balia del mare e del freddo a 60 chilometri dalle coste libiche. Sono le 22:49 quando Alarm Phone denuncia su Twitter che il barcone in avaria con a bordo migranti è ancora in mare, in attesa di soccorsi. Per più di 12 ore le richieste di aiuto rimangono inascoltate, tra il ping pong di responsabilità e le chiamate mai ricevute dai diversi punti di approdo, i porti di Malta, Italia e Libia. Alla fine, i soccorsi sono giunti attraverso una nave mercantile battente bandiera della Sierra Leone, inviata dalla Guardia Costiera libica contattata dalla Centrale operativa di Roma, come previsto dalla normativa internazionale sul Sar (Search and rescue).

Il Governo- «Bisogna mettere in galera gli scafisti. Devono avere la certezza che i porti italiani sono chiusi: è l’unico modo per salvare vite umane. L’anno scorso di migranti ne sono arrivati di meno e ne sono morti di meno». Queste le dichiarazioni di Salvini in una diretta Facebook in cui ribadisce come la politica del Governo sia quella di chiudere i porti per impedire ai trafficanti di uomini di « vagare nel mar Mediterraneo imponendo le loro leggi, alla faccia delle leggi dei singoli Paesi». Il ministro dell’Interno ha proseguito tirando anche in ballo le Ong che, ha detto, «tornano in mare» e così «tornano i morti». Il vice-Premier Di Maio invece se la prende con la Francia, e propone come piano quella di «portare i migranti a Marsiglia». « Per far stare gli africani in Africa basta che la Francia stia a casa propria», continua Di Maio,  riferendosi alla politica coloniale francese, che secondo i 5Stelle, non si è mai conclusa.  Al di là della polemica sui porti, da ogni forza politica arrivano messaggi di sgomento e indignazione per l’ennesima giornata tragica che identifica il Mar Mediterraneo come un cimitero di migranti. Solo a largo della Libia, tra venerdì e sabato sono morte 117 persone, «sono crimini contro l’umanità – dice il premier Conte – Quando avrò smesso questo mio mandato di servizio per il popolo italiano, mi dedicherò al diritto penale per perseguire e assicurare alla Corte internazionale i trafficanti di uomini».

La questione della Libia- A novembre, il tentativo di proporre un piano per risolvere la crisi libica, voluto da Conte e sostenuta dall’Onu, si era tradotto in un inizio di dialogo tra diversi Stati. Al summit di Palermo però, mancavano all’appello il presidente Donald Trump, Vladimir Putin, Emmanuel Macron, la cancelliera Angela Merkel e il generale libico Khalifa Haftar, che ha presenziato solo ad un evento a margine della conferenza. La crisi in Libia ha dimensioni sia locali che internazionali e per questo, il confronto è tra opinioni molto differenti. Nella sola giornata di domenica, come scrive il Viminale, sono state salvate e rimandate indietro 393 persone: 143 sono stati riportati a Tripoli, 144 a Misurata, 106 ad al-Khoms. A questo si collega un altro tweet di Alarm Phone che dice« la Guardia Costiera libica non salva le persone, secondo la definizione di salvataggio- “portare le persone in un posto al sicuro”. La libia non è quel genere di posto, sicuramente non per i migranti. Abusi sistematici dei diritti umani avvengono lì ogni giorno- torture, abusi, estorsioni e omicidi».

I numeri- I dati diffusi dal Viminale parlano di numeri in calo rispetto al 2018. I migranti sbarcati in Italia dall’inizio dell’anno sono 155. L’anno scorso erano stati 2.730. Gli Stati da cui provengono i migranti, come dichiarato alle autorità al momento dello sbarco, sono: Bangladesh, Iraq, Tunisia, Iran, Egitto, Russia, Sudan, Pakistan e Gambia. Specialmente in queste ore si sono moltiplicati gli appelli delle organizzazioni non governative, come come l’Unhcr e Medici Senza Frontiere, che hanno denunciato le politiche europee di salvataggio in mare. Il ministro pentastellato della Difesa, Elisabetta Trenta, ha invocato l’intervento dell’Europa, che «non può più restare a guardare».