Quando Cosa Nostra non si ferma al controllo del territorio, ma a quello dei fascicoli giudiziari, è difficile fare giustizia sulle stragi di mafia. Non ne parliamo quando a finire nel dimenticatoio è la presunta corruzione del giudice che quella giustizia avrebbe dovuto servire.

Riesumato a Palermo da un limbo durato 15 anni, è tornato alla luce grazie a un’inchiesta giornalistica il fascicolo sulla strage in cui il giudice antimafia Rocco Chinnici è rimasto ucciso 30 anni fa, in un’auto imbottita di tritolo.

Dalle dichiarazioni rese nel 1998 dai pentiti e contenute nel documento insabbiato emerge l’accusa al presidente della Corte d’assise d’appello Giuseppe Recupero, morto 5 anni fa, che avrebbe ricevuto 200 milioni di lire per “aggiustare” il processo a favore dei boss. La mafia avrebbe corrotto il magistrato per arrivare all’assoluzione per insufficienza di prove di Michele e Salvatore Greco, indicati come i mandanti dell’attentato.

L’indagine è rimpallata tra la magistratura di Reggio Calabria, che si dichiarò all’epoca incompetente, e quella di Palermo, dove il fascicolo è stato “dimenticato”. Il caso, che non ha più avuto seguito, è ora stato riaperto dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi.

Rocco Chinnici, insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fu uno dei padri del pool antimafia. Si distinse nella lotta alla malavita organizzata in un ambiente ostile, quel tribunale di Palermo che è passato alla storia come il “Palazzo dei veleni”.

Silvia Ricciardi