Corsia d'ospedale (Ansa)

Continuità delle cure? Un obiettivo ancora da raggiungere. L’indagine condotta dalla Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (Fiaso), in collaborazione con il Centro di Ricerche Cergas dell’Università Bocconi, evidenzia come i medici ospedalieri e gli specialisti territoriali tendano a comunicare tra loro o al massimo con gli infermieri. Meno efficace il rapporto con i medici generali. Un problema, secondo la Fiaso, per le malattie che richiedono di essere seguite nel tempo.

La ricerca, presentata nella mattina di giovedì 10 gennaio a Roma, analizza il livello di integrazione delle cure per tre patologie croniche che richiedono una prevalenza di assistenza sul territorio: diabete in pazienti con danno d’organo, insufficienza respiratoria grave connessa a broncopolmonite, tumori in fase avanzata seguiti in Assistenza Domiciliare Integrata. Gli intervistati hanno valutato positivamente l’accessibilità ai servizi e le relazioni con i medici, promosso la continuità assistenziale di Asl e ospedali, ma sottolineato tra i medici di famiglia la scarsa capacità di “fare rete”.

Lo sbilanciamento tra l’offerta dei servizi ospedalieri rispetto a quelli territoriali, commenta Valerio Fabio Alberti, Presidente FIASO, mostra  che «la sfida per il futuro è andare ad intercettare quei livelli di bisogno inespresso che non riescono a tradursi in domanda esplicita di servizi». Un campo su cui è necessario investire è quello della continuità assistenziale, come «condizione indispensabile per garantire in futuro la sostenibilità operativa ed economica del sistema sanitario».

La Fiaso ha riservato parte della ricerca all’informatizzazione del settore. Il risultato: i camici bianchi sarebbero «poco digitali, visto che appena il 2 per cento utilizza la posta elettronica, privilegiando ancora la cartella clinica o altri strumenti cartacei portati direttamente dal paziente al momento della visita», riporta lo studio.

Silvia Morosi