«Abbiamo ottenuto un risultato importante, sviluppato dall’Italia: tutti i Paesi, compresi Cina e India, hanno accettato di non arrivare a 2 gradi di riscaldamento globale a metà secolo, ma a 1,5. Questo mezzo grado è fondamentale». Di ritorno dalla Cop26 di Glasgow, il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani cerca di trovare lati positivi nell’accordo per la salvaguardia del clima firmato dai 197 Stati presenti alla Conferenza. E precisa che non si tratta di un «compromesso annacquato», anche perché «è impensabile fare una rivoluzione epocale con una Cop: sono state concordate regole precise per le finanze, per la trasparenza e la verifica di quanto dichiarato dagli Stati. Sono stati concordati processi e metodi uguali per tutti, che a partire dalla prossima Cop consentiranno di gestire meglio gli aiuti e gli sforzi. Può sembrare poco, ma non è così».

Gli aiuti mancati – Cingolani non nasconde comunque la sua insoddisfazione per il principale nodo irrisolto del Glasgow Climate Pact, ovvero l’intesa sugli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per finanziare la transizione energetica. E’ sfumato l’obiettivo di 100 miliardi l’anno, già fissato alla Cop15 del 2009. «Non sono convinto che tutti abbiano capito l’importanza della solidarietà», ha detto il ministro a Radio24. «C’è un problema di finanza. La finanza deve essere solidale. Noi adesso dobbiamo dare, non dobbiamo pensare di guadagnare sul clima. Questo è un aspetto forse su cui bisognerà riflettere a lungo». Nel patto di Glasgow si esorta a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento entro il 2025. Un risultato poco significativo, cui si aggiunge la mancata istituzione di un nuovo fondo per coprire i danni già causati dal cambiamento climatico nei Paesi più svantaggiati.

India e Cina – Le principali critiche mosse al testo finale riguardano l’iter di abbandono del carbone: da «graduale eliminazione» si è passati a «graduale riduzione». Una modifica dell’ultima minuto, promossa da India e Cina, che dipendono fortemente dal combustibile fossile per produrre elettricità. Per Cingolani il compromesso era necessario: «Il ministro indiano ci ha detto chiaramente che avrebbe aderito alla risoluzione finale relativa a 1,5 gradi solo qualora si fosse alleggerita la pressione sull’abbandono totale del carbone. Un modo per avere più tempo, organizzare la transizione energetica e nel frattempo crescere, ma aderendo all’obiettivo globale di 1,5 gradi di riscaldamento globale nella seconda metà del secolo insieme a tutti gli altri Paesi», e spiega, «Sono abili negoziatori: se avessimo optato per il muro contro muro, gli indiani si sarebbero svincolati da ogni impegno e avrebbero prodotto tutta la CO2 possibile, rendendo irreversibile il cambiamento e inutili gli sforzi di tutto il resto del mondo».

L’accordo – Il testo uscito dai negoziati di Glasgow conferma l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature entro 1.5 °C rispetto ai livelli pre-industriali e di azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050. I Paesi firmatari dovranno rivedere e rafforzare i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 già nel 2022, in vista della Cop27 di Sharm El-Sheik. C’è stato un notevole passo in avanti sul mercato globale della CO2: i Paesi potranno così raggiungere i loro obiettivi climatici acquistando quote di emissioni da Stati virtuosi. Le nuove regole verranno implementate all’articolo 6 dell’accordo di Parigi del 2015.

I commenti – Il primo a esprimere insoddisfazione sull’esito dei lavori della Cop26 è lo stesso presidente della conferenza Alok Sharma che, al momento dell’annuncio, si è scusato trattenendo a fatica le lacrime. Perentorio anche il giudizio su Twitter di Greta Thunberg:

All’attivista svedese ha risposto Cingolani: «Capisco che gli attivisti giovani debbano tenere l’attenzione molto alta e contestare, ma 194 Stati che per 2 settimane si chiudono in una stanza, per trovare una soluzione, è democrazia, non è ‘bla bla bla’. Non mi pare che andare in giro per le strade a urlare e suonare sia efficace». Secondo il ministro, il processo di transizione richiede equilibrio. «Se si fa troppo in fretta si fanno ‘vittime’ nel senso sociale. Ma se si fa troppo lentamente, o non si fa, le vittime le facciamo sul serio, perché ci sono catastrofi climatiche incombenti».