“Coming soon”. Sul sito di Fabrizio Corona campeggia questa scritta. Di certo, se arriverà in Italia, lo farà sotto scorta. Dopo quattro giorni di peregrinazione, si è fermata a Lisbona la fuga del celebre paparazzo. La polizia lo aveva in pugno sin dall’inizio: a tradirlo, l’antifurto a radiolocalizzazione della Fiat 500 con cui è scappato dall’Italia. A quel punto, Corona è stato costretto a costituirsi nella capitale portoghese il 23 gennaio. Davanti a lui, sette anni di carcere: questa la pena inflittagli dalla Procura di Torino per estorsione aggravata e trattamento illecito di dati personali ai danni dell’ex centravanti della Juventus David Trezeguet.
Gli investigatori che hanno arrestato Corona lo hanno descritto come “un uomo impaurito e in lacrime”. “Querelo ogni persona che si è permessa di dire che ho pianto – ha reagito il diretto interessato al tg di Italia 1 “Studio Aperto” -. Sono tranquillo, mi sono consegnato spontaneamente a Lisbona. Non ho paura e sono pronto a combattere la mia battaglia”.
Adesso, Fabrizio Corona non vuole tornare in Italia. Al suo avvocato Nadia Alecci ha raccontato: “Mi volevo costituire qui a Lisbona perché ritengo la sentenza di Torino del tutto ingiusta e temo per la mia vita nelle carceri italiane”. Ma ambienti della questura fanno sapere che l’estradizione avverrà in poco tempo: una settimana, al massimo.
Sulle dichiarazioni di Corona, è intervenuto Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria): “Sulle carceri italiane Fabrizio Corona non sa quel che dice. Mi auguro che venga presto estradato in Italia a scontare la pena per la quale è stato condannato: si renderà così conto dell’alto livello di civiltà delle nostre carceri, nonostante l’endemico sovraffollamento, e dell’alta professionalità dei poliziotti penitenziari e di tutti gli operatori”.
Francesco Paolo Giordano