Troppo pochi per resistere a epidemia e ”quarantena”. I 400 milioni, che con un’ordinanza della Protezione civile saranno subito versati ai comuni italiani per provvedere agli alimenti e ai beni di prima necessità delle famiglie, mettono di malumore i sindaci. Quindici milioni a Roma, 7,6 a Napoli, 7,2 a Milano, 5,1 a Palermo, 4,6 a Torino, 3 milioni a Genova. Ogni Comune avrà la sua parte, anche i centri più piccoli, con una quota minima di finanziamento fissata a 600 euro. Questo il primo stanziamento in attesa del decreto Cura Italia. Per l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), che nei giorni scorsi aveva chiesto misure immediate, sono aiuti necessari, ma non sufficienti. Sono addirittura «spiccioli» per il Governatore della Liguria Giovanni Toti che interpreta un sentimento condiviso da altri colleghi e da molti sindaci (anche dell’Italia meridionale). In discussione non c’è solo il valore dell’assegno. C’è chi pensa che il criterio di distribuzione dei fondi, l’80 per cento ripartito in base ai residenti e il 20 per cento secondo il rapporto tra il reddito pro-capite del Comune e il valore medio nazionale, non sia equo perché non tiene conto di chi è stato più colpito dall’emergenza.

L’ordinanza- Entra il vigore il 30 marzo l’ordinanza che prevede l’erogazione dei 400 milioni a 8 mila Comuni. Secondo questo documento, firmato dal capo della protezione civile Angelo Borrelli, i sindaci sono autorizzati «all’acquisizione di buoni spesa utilizzabili per l’acquisto di generi alimentari presso gli esercizi commerciali contenuti nell’elenco pubblicato da ciascun Comune nel proprio sito istituzionale». Questi beni, destinanti alle famiglie o ai cittadini che hanno bisogno, saranno distribuiti dai volontari del Terzo Settore. Sono ammesse anche donazioni di privati. Nel testo non viene specificato l’importo dei buoni spesa: spetterà ai tecnici dell’Anci definire il valore dell’assegno e la quantità da destinare a ogni nucleo. I servizi sociali, invece, individueranno i beneficiari, con un criterio fondamentale: priorità a chi non riceve già un sostegno pubblico, come il Reddito di cittadinanza o d’inclusione. A Roma, la città più popolosa d’Italia, spetta la fetta più grande. Su base regionale, invece, è la Lombardia a ricevere la quota maggiore di risorse, 55 milioni. L’ordinanza riequilibra i fondi in base ai residenti e al loro reddito medio, includendo micro-finanziamenti anche per i centri con poche decine di abitanti. Se per questi comuni non ci saranno i soldi, verranno sottratti alle grandi città.

Polemiche – Roberto Pella, presidente dell’Anci, aveva accolto di buon grado la decisione del governo di stilare l’ordinanza. Ma nelle scorse ore ha precisato: «Bene i 400 milioni per la prima fase. Per dare una risposta più adeguata, serve però almeno un miliardo di euro. Non bisogna illudere i cittadini, questi soldi sono insufficienti per il fabbisogno mensile». Dello stesso avviso la ministra per le politiche agricole Teresa Bellanova: «L’emergenza alimentare è un tema serissimo, per questo dico che alla drammaticità del tema deve corrispondere la serietà delle misure». Per la ministra non bastano i buoni pasto per risolvere i problemi. Serve una «regia nazionale», un coordinamento centralizzato, «perché non tutto si può scaricare sulle spalle dei Comuni». Anche per molti politici del sud queste misure sono inadeguate. Lo pensa il governatore Vincenzo De Luca, nonostante la Campania con 50 milioni sia la seconda regione per finanziamenti, e anche Jole Santelli. La presidente della regione Calabria usa toni duri e parla di «una messa in scena umiliante per i cittadini». Secondo Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente di Anci Veneto, è il criterio di distribuzione a essere sbagliato perché penalizza i territori più afflitti dall’epidemia: «L’anticipo del 66 per cento del Fondo di solidarietà con parametri che non favoriscono le regioni del Nord maggiormente colpite dalla pandemia è una vera presa in giro». E secondo Conte servirebbero almeno cinque miliardi.