Il 12 per cento con regolare partita Iva ha chiesto all’Inps il bonus di 600 euro. Circa un terzo dal 4 maggio è tornato in attività. Il resto con l’emergenza coronavirus si è riconvertito allo smart working. Sono i lavoratori del sesso: escort e gigolo che, secondo i dati di Escort Advisor (il principale portale di recensioni in Italia dedicato al sesso a pagamento con oltre 2 milioni di utenti mensili) hanno ricevuto un boom di richieste dall’inizio della fase due. Ma la domanda per ora supera l’offerta. Infatti la maggior parte, temendo il contagio, continua a preferire il sistema delle videochiamate adottato durante il lockdown, nonostante i guadagni ribassati. Ma c’è anche chi si è attrezzato con tutte le precauzioni: mascherine, guanti e un macchinario per sanificare l’aria dell’appartamento in cui riceve. E nei primi due giorni di riapertura ha incassato 3mila euro. Ecco le soluzioni e i rischi di un settore che paga l’assenza di regolarizzazione.
Lo smart working e la paura del contagio – Con la fine del lockdown le visite giornaliere al portale Escort Advisor hanno subito un rialzo del 27 per cento. E anche il numero delle recensioni scritte sul sito sono tornate ad aumentare, con un’impennata del 93 per cento, segno che con la fase due il settore è tornato a mettersi in moto. Ma la crescita del numero di annunci di sex workers presenti sui siti dedicati sta crescendo lentamente: meno del 30 per cento delle escort è tornata in attività. «La paura a tornare a lavorare c’è eccome», confessa Camilla, escort romana, che per ora preferisce continuare in modalità smart working. Basta un account di Skype, uno di PayPal e una card Postepay, spiega Alessia, anche lei di Roma: «Chi mi contatta accredita il denaro sul mio conto Paypal oppure ricaricando la mia Postepay. La prenotazione costa 50 euro. Io verifico all’istante se la somma c’è e fornisco la prestazione richiesta». Non solo Skype, ma anche videochat su WhatsApp, foto e video erotici confezionati in base ai gusti, da inviare sempre tramite smartphone. Così si è riconvertita Chiara, sex worker milanese che, a fronte di guadagni inferiori, sceglie di non esporsi ai rischi di incontri fisici. E oltre ai compensi registra anche un cambio di target: più giovane rispetto ai clienti abituali, meno avvezzi al mondo digitale e delle app. Continua ad affidarsi al virtuale, ma con altre tariffe, anche Igor, gigolo di lusso salernitano molto attivo a Milano. Per lui la videochiamata non è solo sesso a distanza. Molte clienti lo pagano per recitare monologhi tratti da film famosi o anche solo per sentire la sua voce. Ma si tratta di un ripiego momentaneo che non potrà mai sostituire il contatto fisico. Per ora non avendo problemi di budget preferisce non rischiare e dedicarsi ad attività alternative, dal progetto di un libro con i consigli di seduzione ai contenuti per il suo sito online. Quando potrà riprendere richiederà il tampone, sicuro che le sue affezionate e facoltose clienti svizzere o milanesi non avranno problemi a un extra in più da pagare. Il problema è per le clienti nuove: «Con la paura di contagiarsi difficilmente andranno in cerca di un gigolo».
La riapertura fai da te – «La paura a tornare a lavorare c’è, ma si può in sicurezza se anche i clienti ragionano», racconta Annalisa, escort di Roma, che si è attrezzata con tutte le precauzioni: mascherine, guanti e un macchinario per sanificare l’aria dell’appartamento in cui riceve i clienti. Solo lunedì 4 maggio ha risposto a oltre 100 telefonate e in due giorni ha guadagnato quasi 3mila euro, ricevendo solo uomini già conosciuti e di cui si fida. Non è lo stesso per Emily, venticinquenne dell’est Europa, che se prima faceva più di cinque incontri al giorno adesso se va bene vede una sola persona. «Gli amanti hanno fretta, cercano scappatelle nel tragitto che da casa percorrono per andare a lavoro e chiedono sempre di farsi la doccia», aggiunge. Per tutelarsi anche Lory ha preso provvedimenti: «All’ingresso controllo della temperatura con termoscanner per i clienti. Bisogna tutelarsi se si vuole lavorare». Anche per Efe Bal, la escort transgender di origine turca più pagata d’Italia, continuare a lavorare è l’unico modo per pagare l’affitto e fare la spesa: «Ho il telefonino pieno di messaggi di clienti che sfiderebbero anche la peste pur di stare con me. Io non posso fermarmi anche perché lo Stato non pensa alla nostra categoria, non posso andare in bancarotta».
La mancanza di tutele di un settore borderline – In Italia escort e gigolo sono circa 120mila (il 90 per cento donne) secondo Escort Advisor, il portale dedicato a un settore con 3 milioni di clienti fissi annui e 9 milioni occasionali per un giro d’affari complessivo di 5 miliardi di euro. Il sex worker è un lavoro a tutti gli effetti, con il proprio codice Ateco, quello delle altre attività per i servizi alla persona nca 96.09.09, che viene considerato legale, ma è privo di una regolarizzazione effettiva. Non tutti però aprono la partita Iva, fatturano e pagano le tasse. Solo il 12 per cento ha fatto richiesta all’Inps del bonus di 600 euro previsti per i lavoratori autonomi. «Tra gli invisibili – dice Andrea Morniroli della cooperativa Dedalus e portavoce della Piattaforma nazionale antitratta – la categoria più esposta ai rischi sono i 20mila che si prostituiscono in strada». Molti e molte di loro non hanno abbastanza soldi per pagare l’affitto o fare la spesa, e alcune hanno anche dei figli a carico e non sanno come arrivare a fine mese. Il problema, secondo Silvia Ottaviano, responsabile del progetto “Oltre la strada” di Casa delle donne di Bologna, è la difficoltà di monitoraggio di questo mondo sommerso in questo momento particolare, in cui i colloqui con le persone proseguono al telefono e le unità di strada sono sospese. Per questo una regolarizzazione sarebbe ancora più auspicabile. Ma MikiMiki, escort bolognese trentenne, è molto scettica: «Tutti pensano che siamo noi a non volerlo, ma noi le tasse le paghiamo ben volentieri se in cambio possiamo avere la sicurezza sanitaria. Ma in Italia lo vedo molto duro questo passaggio. Quella di noi escort è una realtà diffusa anche se socialmente non accettata. Siamo degli invisibili, ma ci siamo eccome».