Una verifica ogni 15 giorni delle condizioni del detenuto e la scarcerazione vincolata solo al parere positivo delle Procure antimafia. Sono questi i due provvedimenti chiave del decreto approvato sabato 9 maggio dal Consiglio dei Ministri con cui il Guardasigilli Alfonso Bonafede vuole mettere un freno alle scarcerazioni dei mafiosi per l’emergenza covid-19. Il testo è stato scritto in 48 ore e, dopo il vaglio del governo, è stato firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il decreto, composto di sette articoli, è stato approvato alla vigilia di una settimana complicata per Bonafede: martedì mattina sarà alla Camera per un’informativa sull’argomento e giovedì dovrà affrontare una mozione di sfiducia presentata dal centrodestra e un’audizione in Commissione Antimafia per la disputa sulla nomina del direttore del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria con il magistrato Nino Di Matteo. «Con il parere obbligatorio delle procure abbiamo fermato l’emorragia – ha detto Bonafede a margine del consiglio dei ministri – Oggi chiudiamo il cerchio e ribadiamo con fermezza l’impegno dello Stato alla lotta alla mafia».
Revisioni periodiche – La decisione di scarcerare i detenuti per motivi di salute «connessi all’emergenza Covid» resta competenza esclusiva dei giudici di sorveglianza. Nei quindici giorni successivi alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto legge approvato dal consiglio dei ministri sabato sera, però saranno i pm a decidere se continuino a sussistere le motivazioni legate al Covid della permanenza del detenuto fuori dal carcere.Una valutazione che verrà fatta prima con cadenza quindicinale, poi mensile. Ogni 15 giorni, e poi ogni mese, i pubblici ministeri dovranno stabilire se sia necessario rivedere la decisione presa dal giudice di sorveglianza di assegnare gli arresti domiciliari a chi sta scontando la pena per mafia, terrorismo, traffico di droga o fiancheggiamento.
Domiciliari – Secondo quanto pubblicato dal quotidiano La Repubblica, sono 376 i detenuti di alta sicurezza che nell’ultimo mese e mezzo sarebbero passati agli arresti domiciliari. Perché il detenuto possa continuare a scontare la pena fuori dal carcere, sarà necessario che i i pm del luogo dove è stato commesso il reato e la procura nazionale antimafia diano il loro parere favorevole. Come riporta il Corriere della Sera, prima di emettere ogni nuovo provvedimento i magistrati dovranno comunque verificare con l’Autorità giudiziaria regionale se ci siano posti a sufficienza all’interno delle carceri o nei reparti protetti degli ospedali dove il detenuto possa «riprendere la detenzione senza pregiudizio per le sue condizioni di salute». Nel momento in cui il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia «comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta adatti alle condizioni di salute del detenuto che usufruisce del differimento della pena», il giudice potrà trasferirlo senza rispettare le tempistiche di 15 e 30 giorni e interrompere la misura precedente, dopo aver verificato la situazione sanitaria della regione. La norma è retroattiva per chi si trovava in carcere dal primo febbraio 2020 ed è stato scarcerato dopo lo scoppio dell’emergenza sanitaria, mentre per tutti gli altri il decreto inizia a valere dalla sua entrata in vigore.
Fase due per i colloqui – Il decreto prevede anche disposizioni relative alla fase due per i colloqui in carcere, che fino a questo momento erano stati sospesi per il rischio contagio. Resta il diritto dei detenuti di un colloquio al mese con una persona, e dal 19 maggio al 30 giugno, i direttori degli istituti penitenziari potranno stabilire il numero massimo di visite. I colloqui potranno essere fatti o a distanza tramite apparecchiature di telecomunicazioni oppure “in presenza”. “Il direttore dell’istituto penitenziario e dell’istituto penale per minorenni – si legge nel decreto – sentiti, rispettivamente, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e il dirigente del centro per la giustizia minorile, nonché l’autorità sanitaria regionale in persona del Presidente della Giunta della Regione stabilisce, nei limiti di legge, il numero massimo di colloqui da svolgere con modalità in presenza, fermo il diritto dei condannati, internati e imputati ad almeno un colloquio al mese in presenza di almeno un congiunto o altra persona”. Proprio la sospensione dei collloqui era stata una della cause scatenanti delle rivolte delle scorse settimane.
Scarcerazioni – Al momento 450 domande attendono di essere valutate. Negli ultimi sette giorni, ne è stata approvata solo una di un detenuto legato alla criminalità pugliese. Per gli altri c’è stato o il rigetto della domanda, o una collocazione diversa nel circuito penitenziario.