Le prossima arma per provare a stroncare la diffusione del coronavirus in Italia sarà con tutta probabilità tecnologica. Il governo, attraverso il ministero dell’Innovazione, sta valutando tra una rosa di 319 idee un’app per smartphone per il tracciamento dei movimenti dei cittadini sul modello Corea del Sud. L’obiettivo è costruire una mappa dei possibili contagi grazie all’analisi dei dati dei telefoni, ricostruendo grazie ad essi i nostri contatti sociali. Nei giorni scorsi sono state sollevate preoccupazioni per questa probabile stretta al diritto alla privacy. Una compressione tuttavia giustificata secondo il professor Francesco Maria Pizzetti, ex presidente dell’Autorità Garante per la Privacy. Ma è necessario un intervento giuridico dall’alto per evitare che Regioni ed enti locali si muovano da sole, come già accaduto nelle scorse settimane  in Lombardia.

Professore, conferma che il diritto alla protezione dei dati personali in questa situazione d’emergenza è comprimibile a  favore della tutela della salute collettiva?
«Non c’è dubbio che questo diritto, come realizzazione in concreto della protezione dei dati che mi riguardano, è cedibile rispetto alla necessità di tutelare valori collettivi di particolare rilevanza. Questo lo dicono il Gdpr (il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati dell’Unione europea), ma anche la direttiva ePrivacy, che disciplina il trattamento dei dati nel mondo digitale e nelle telecomunicazioni. Entrambi danno piena possibilità agli Stati Ue di introdurre deroghe con il necessario bilanciamento. Ovvero dimostrando la proporzionalità, l’adeguatezza e la necessità di questi trattamenti, e gli accorgimenti adottati per proteggere l’interessato. Non c’è niente di nuovo, stiamo facendo come sempre capita in Italia una tempesta in un bicchiere d’acqua. Ma in questo bilanciamento bisogna avere cura anche di mantenere le garanzie per i cittadini.»

Quali sono queste garanzie?
«La forma dell’atto, cioè la legge, che significa coinvolgere, perlomeno nei sistemi democratici, il Parlamento. E poi assicurando comunque la proporzionalità, la congruenza dei dati rispetto alla finalità di tutela del diritto prevalente che si vuole perseguire, e anche la tutela degli interessati. Quindi ci vuole una procedimentalizzazione dell’accesso a questi dati, che renda chiaro chi può accedere, per quali motivi, con quali tipo di atto. E ovviamente è necessario prevedere anche l’informativa all’interessato.»

Come?
«Nel caso della raccolta dati telefonici non è un onere di particolare gravità perché basta un sms. L’informativa all’interessato non solo gli consente di reagire, che è il minimo di garanzia basica che dobbiamo lasciare, ma può trasformarsi in un’ulteriore tutela dell’interesse superiore protetto perché io posso dimostrare che il dato non si riferiva a me, che avevo prestato il telefonino a un amico, o che l’avevo lasciato in auto ed ero andato da un’altra parte. Ciò aiuta anche coloro che trattano il dato a migliorare la qualità del dato raccolto.»

Per definire i paletti di questo utilizzo della tecnologia dovrebbe quindi essere coinvolto il Parlamento…
“In questa vicenda non è che poi si sia andati tanto lontano da ciò che si sarebbe dovuto fare. Perché la maggior parte di questa normativa è decreto legge (d.l. 23 febbraio 2020 n. 6) poi convertito in legge. Se non ci formalizziamo è una fonte con una forza di legge. Il problema sono stati poi i Dpcm esecutivi che hanno concretizzato le limitazioni, decreti che non hanno coinvolto il Parlamento. E poi, peggio ancora, l’autorizzazione alle autorità amministrative dotate di poteri di urgenza di derogare alla protezione dei dati per finalità di lotta all’epidemia (decreto legge n. 14, del 9 marzo 2020 ndr). Con che abbiamo avuto l’orgia dei decreti emergenziali dei presidenti delle Regioni e, in alcuni casi, dei sindaci. Questo ha come effetto quello di “geopardizzare” i diritti fondamentali, compreso quello alla circolazione.»

Cosa vanno rassicurati i cittadini preoccupati da questa eventuale nuova stretta alle libertà personali?
«Il primo dovere in questi casi è informarli, ma non informarli dei provvedimenti adottati in generale, ma dei provvedimenti che mano a mano si adottano e che li riguardano, soprattutto quando come nel caso dei trattamenti dei dati telefonici basta un sms, Quindi anche la tecnologia aiuta. Nel momento stesso in cui si chiede di trattare i dati è sufficiente mandare anche un sms in cui si avvisa l’interessato che i suoi dati saranno trattati.»

Lei considera preoccupante il modello Corea del Sud, ma è anche molto spaventato dalla sorveglianza con i droni, momentaneamente fermati dal capo della Polizia Franco Gabrielli, dopo il primo via libera dell’Enac. Come mai?
«Perché lei quando sa che appena esce di casa può essere fotografato da un drone che vola ad un’altezza tale da non poter essere né visto, né sentito, cambia inevitabilmente i suoi comportamenti, anche se è il cittadino migliore del mondo. E vive con l’incubo di dover spiegare il perché si trovava in una determinata strada, ad una determinata ora, mentre suonava a un campanello per esempio.»

Come si impedisce che il monitoraggio attraverso gli smartphone diventi una pratica consolidata anche in futuro?
«Si garantisce tramite un corretto funzionamento del sistema democratico. E poi ovviamente, nel momento in cui viene usata l’informazione nei miei confronti, deve essermi data una garanzia anche di tipo procedurale. Devo sapere a quali autorità posso rivolgermi per chiedere che sia dichiarato non utilizzabile il dato preso con modalità in contrasto con la normativa generale vigente.»