La Quaresima era cominciata con la quarantena. Tre giorni prima del Mercoledi delle Ceneri il governo chiudeva Codogno, allora centro nevralgico del contagio da Coronavirus. La speranza per tutti era quella di vivere un disagio che presto si sarebbe risolto o almeno, date le prime disposizioni, contenuto. Tutto è coinciso con uno dei momenti più intensi del calendario liturgico, un percorso di penitenza e riflessione per prepararsi alla Pasqua di Resurrezione. Una metafora piuttosto calzante della condizione in cui ci troviamo. L’ attesa di uscire dall’incubo di una pandemia mondiale, l’idea di un nuovo inizio, accomuna tutti, credenti e non credenti. Ma nel Paese culla del cattolicesimo la fede in tempo di pandemia ha deciso di trovare nuove strade e insieme a lei anche molti esponenti della Chiesa di Roma, finalmente più vicini ai nuovi strumenti di espressione e comunicazione.

Una Pasqua a porte chiuse – Il 5 aprile si è entrati ufficialmente nella Settimana Santa, la Chiesa ha iniziato con il silenzio insolito della Domenica delle Palme. In una Basilica di San Pietro deserta, niente festa né addobbi. Qualche pianta di ulivo solo negli ultimi trenta metri che Papa Francesco ha percorso per arrivare all’altare della Cattedra di san Pietro, insieme ai collaboratori liturgici ridotti all’osso. L’immagine di Bergoglio in preghiera da solo, in una Piazza San Pietro quasi funerea sotto la pioggia battente aveva già scosso molti lo scorso 27 marzo: «Il Crocifisso bagnato dalle lacrime del cielo» aveva commentato il Vaticano, «un momento storico a prescindere dalla fede», hanno detto i non credenti. Nonostante le ultime polemiche per la proposta del leader della Lega Matteo Salvini di riaprire le chiese il giorno di Pasqua, nulla delle disposizioni del governo rimarrà invariato. «Caro Salvini, oggi le chiese sono chiuse, perché noi preti rispettiamo la legge del nostro paese. Obbediamo ai nostri vescovi e non a te» ha risposto duramente Don Dino Pirri, sacerdote presente su Twitter da diverso tempo, «Non usiamo il nostro popolo, ma lo amiamo». Il Triduo Pasquale dunque si farà a distanza, parrocchie e Cattedrali saranno disposte per celebrazioni senza fedeli. Il programma consueto subisce modifiche: nessuna benedizione dei rami d’ulivo, rinvio della Messa Crismale del Giovedì sera, niente lavanda dei piedi. Il Venerdì Santo cancellate poi tutte le processioni popolari, il Papa celebrerà solo la la Passione. Fino poi alla Veglia pasquale senza battesimi e distribuzione dell’acqua benedetta. Una Pasqua a porte chiuse come non era mai successo forse dall’editto di Costantino. In compenso tutto potrà essere seguito rigorosamente in diretta attraverso social, tv, radio e in mondovisione, compresa la celebrazione di domenica 12 aprile in cui Bergoglio impartirà anche la benedizione Urbi et Orbi, quella destinata a Roma e al mondo intero.

«Messa in streaming, istruzioni per l’uso» – «Può bastare un cellulare o conviene strutturarsi?», «Attenzione alla regia: il luogo in cui si trasmette va curato», «Si raccomandano omelie ben preparate per evitare lo zapping dei fedeli a casa». Questi e altri sono i  suggerimenti che si trovano nel vademecum di istruzioni diffuso dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI. «Facebook, Whatsapp, Youtube, Twitter, Instagram, TikTok…», i social citati nella guida sono molti. È da diverse settimane ormai che sacerdoti di tutta Italia hanno trovato il modo per sentirsi più vicini ai loro fedeli e viceversa. Seguendo l’esortazione di Bergoglio a «non fare i Don Abbondio», i prelati hanno cominciato a familiarizzare con i social network, spesso luoghi demonizzati perché promotori di relazioni non autentiche o, nei casi peggiori, contenitori di illegalità, ma che al momento sono lo strumento principale attraverso cui predicare l’unione. È così che la creatività di parroci e monaci ha riempito le pagine social. Celebrazioni in diretta dal campanile con i fedeli che seguono dal balcone, come nel caso di Don Maurizio Mirilli, parroco di Tor De’ Schiavi a Roma. Riflessioni sul Vangelo a cui si può partecipare scrivendo commenti e interventi live. «In cerca non di un semplice contatto, ma di un tocco di infinito che accarezzi l’animo», i primi versi della poesia intitolata “Abbraccio” sono di Don Cosimo Schiena, giovane sacerdote e, per passione, anche poeta «contro la paura», come scrive sulla sua pagina Facebook. «Gesù non aveva i social ma se ci fossero stati li avrebbe usati di certo! Vangelo infatti vuol dire buona notizia, l’opposto di una fake news» – commenta monsignor Ambrogio Spreafico, biblista, presidente della Commissione episcopale della Cei per l’ecumenismo e il dialogo, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino. Lo conferma anche Fabio Bolzetta, presidente dell’Associazione WebCattolici Italiani: «Nonostante le difficoltà del frangente che stiamo vivendo, è in questo scenario che dopo l’(ab)uso su temi tanto divisivi, le nuove tecnologie stanno dimostrando la loro vocazione originaria di servizio come strumento di unione, vicinanza e prossimità». E così nei tutorial della Cei appare anche la voce “breve glossario social”: “condivisione”, “engagement”, “hashtag”, “target” sono i termini elencati e spiegati ai don non proprio esperti.

La fede in chat – Oltre all’impegno della Chiesa nel far sì che la crisi da pandemia non si trasformi anche in un ulteriore crisi spirituale, esiste anche il mondo dei fedeli che si muove e interagisce. «Non poter andare in chiesa, non poter ricevere l’Eucarestia, non poter vivere lo spirito comunitario che è alla base di ogni pratica religiosa cristiana può essere molto dura per chi vuole tenere sempre viva la propria fede» dice Andrea, uno dei partecipanti al gruppo di preghiera a distanza. «L’idea è venuta a una mia amica e insieme al gruppo di amici conosciuti in parrocchia abbiamo organizzato una video chiamata su Skype per recitare il rosario». Il giovane riflette su come spesso basti poco per sentirsi più vicini, anche per tutti quelli che nel suo gruppo sono dovuti partire per lavoro e ora vivono in luoghi differenti d’Italia: «Le situazioni di sofferenza come queste ci fanno capire quanto avremmo potuto fare finora e quanto ancora si può fare, spero che questo appuntamento di comunione a distanza rimanga anche dopo il coronavirus».

 

 

 

 

 

Casa e preghiera – «Rimango a casa … e prego» è invece l’iniziativa organizzata dal Rinnovamento nello Spirito Santo, movimento ecclesiale cattolico prevalentemente composto da laici. Quaranta ore di preghiera davanti al tabernacolo in diretta streaming con turni suddivisi per regione. Dalle 12.00 alle 13.00 ci si collega con la Basilica di Loreto. Per poi far continuare al piccolo gruppo di preghiera di una parrocchia lombarda. E cosi via in Francia, Svizzera, Moldavia. Oltreoceano, con le comunità del Messico e del Brasile. Anche la Casa Circondariale di San Vittore prende parte alle “quaranta ore”, insieme alla RSA per disabili del Piccolo Cottolengo a Milano.
«Ho 22 anni e prima della quarantena, come tutti i miei coetanei, avevo progetti da portare a termine che ho dovuto inevitabilmente rimandare – racconta in un post Francesca, una delle amministratrici  del “Gruppo di preghiera e sostegno contro il coronavirus” su Facebook. «Ho conosciuto una realtà virtuale composta da persone la cui vita non è stata affatto cambiata dal Coronavirus perché costrette in casa per disabilità, malattie fisiche e mentali o altri problemi simili. E ora mostrano a coloro che li hanno sempre discriminati ed evitati, come sopravvivere alla noia e al morso della solitudine.(…) Ho imparato a temere non solo per la mia vita, ma anche per quella di milioni di sconosciuti in tutto il mondo. Ora tutto ciò che desidero è riuscire in tutto ciò che ho fallito o non ho neppure tentato».

     

 

I rischi della fede “anti-virus” – Il Crocifisso “scaccia-peste” portato in processione virtuale, la reliquia del dito di sant’Antonio in diretta sul sagrato del santuario, la preghiera “miracolosa” per scacciare il virus, la richiesta di perdono per la punizione divina. Don Mauro Leonardi, sacerdote, scrittore e giornalista italiano, autore del blog Come Gesù, commenta ad Agi in modo molto duro le convinzioni di fedeli e prelati di doversi appellare «a una forma del tutto pagana» di religiosità. «Un cristiano sa che attribuire a una punizione divina o a un potere quasi magico la diffusione o meno del coronavirus fa male alla fede perché la declassa a una pratica superstiziosa, con un dio più simile alle capricciose divinità pagane che al Dio dei cristiani». Una tendenza quasi idolatra  non nuove nellla storia millenaria della Chiesa ma che adesso, con il moltiplicato potere delle immagini conferito dai mezzi di comunicazione più in voga, si acuisce. Lo spiega il giovanissimo sacerdote youtuber Don Alberto Ravagnani. Il prete di Busto Arsizio, coinvolgente e chiaro nelle sue omelie moderne, è riuscito a parlare di temi religiosi nel linguaggio fresco dei giovani di Internet. Il suo oratorio virtuale sta conquistando sempre più persone: «Cattolico e ironico… non pensavo fosse ancora possibile», commenta un utente sotto uno dei suoi video. Tra questi anche quello riguardante l’utilità della preghiera: «Il Papa prega, l’Arcivescovo di Milano è salito sul tetto del Duomo per chiedere l’intercessione della Madonna … ma sta veramente cambiando qualcosa?”, si chiede. Qui di seguito il video.