Sono ancora numerosi i cittadini italiani rimasti bloccati all’estero a causa dell’emergenza coronavirus (Covid-19). Tra questi, molti turisti partiti giorni prima che l’epidemia esplosa in Cina si trasformasse in pandemia mondiale e che l’epicentro del contagio si spostasse in Europa. Alcuni sono rimasti “prigionieri” delle limitazioni alla circolazione adottate dai Paesi in cui si trovano. Uno di loro è Alessandro Panciera, 31 enne di Valdagno (Vicenza), fermo in “quarantena” in un ostello di Cusco, nel sud del Perù, dopo una traversata in solitaria del Sudamerica partita il 1 febbraio dall’Argentina.

Il viaggio sudamericano – All’inizio della vacanza di due mesi, organizzata tempo prima per sfruttare un bel bottino di ferie arretrate, nulla gli avrebbe fatto immaginare questo scenario. Sviluppi che nemmeno lungo il suo itinerario tra Argentina, Cile e Bolivia, aveva ipotizzato. In Cile, più che per il comtagio, c’erano timori per i disordini per le strade del Paese, in particolare nella capitale Santiago, rivela Alessandro raggiunto telefonicamente da La Sestina: «Io sono entrato in città solo perché conoscevo una persona del posto che mi ha fatto da guida». Da metà ottobre nel Paese sono in corso proteste antigovernative, represse con violenza dalle forze dell’ordine. È quando sta per lasciare la Bolivia per il Perù che inizia ad intuire un cambiamento nella percezione dell’allarme coronavirus, anche da parte dei media. «Mentre facevo la spesa per il viaggio sul bus notturno una signora mi ha detto di stare attento in Perù».

La “quarantena” peruviana – Ad Arequipa, in Perù, inizia a toccare con mano la diffidenza verso gli europei. Nelle giornate trascorse a fare trekking avverte i primi fastidi dei locali verso i turisti. «Non c’era ancora la quarantena – ricorda il vicentino – Vedevi che ti guardavano già con occhi diversi rispetto ai boliviani, anche se non era evidente». In quelle ore la situazione nel Paese cambia drasticamente. La sera del 15 marzo il governo di Lima dichiara lo stato di emergenza sanitaria nazionale e con un decreto introduce subito misure rigidissime per 15 giorni: divieto di transito, chiusura delle frontiere aeree, marittime e terrestri e coprifuoco dalle 20 alle 5 del mattino fino al 31 marzo. Alessandro fa in tempo a raggiungere Cuzco con un volo interno e a trovare un ostello. Non senza difficoltà.

«Se non stai nella tua stanza chiamiamo la polizia» – Dopo l’entrata in vigore delle limitazioni, il passaporto italiano inizia a essere visto male a causa della situazione critica del nostro Paese. Il primo ostello, dove aveva prenotato un posto letto, caccia letteralmente Alessandro al suo arrivo. E questo nonostante il 31enne fosse in viaggio da oltre un mese – quindi non a rischio contagio – e arrivasse da Berlino, dove vive e lavora da due anni. Nemmeno nella seconda struttura le cose vanno bene, perlomeno all’inizio. «Quando l’impiegata ha visto il passaporto è sbiancata», racconta. Alessandro viene ospitato solo perché accetta di essere segregato in una camera singola per restare isolato dagli altri ospiti. «Quando sono uscito per chiedere la colazione e altre cose hanno minacciato di chiamare la polizia se non fossi rientrato nella mia stanza, mentre le persone di altre nazionalità erano libere di circolare».

L’incognita del rimpatrio – Solo dopo le opportune verifiche sul suo percorso precedente, il manager dell’ostello si è scusato per il trattamento e lo ha fatto trasferire in una più economica camerata da sei persone. E dopo gli accertamenti della polizia e della guardia medica, senza una visita completa, non ha subito altre discriminazioni. Nell’ostello, da oltre una settimana, attende di capire come potrà tornare in Europa appoggiandosi, come altri connazionali, all’ambasciata italiana di Lima. Il suo rientro era programmato per il 27 marzo. Il suo volo da Lima verso la Germania non è ancora stato formalmente cancellato, nonostante un blocco dei voli tra il Perù e il nostro continente in vigore fino al 16 aprile. Ma dalla compagnia aerea non ha avuto supporto. A complicare la situazioni le rigide restrizioni alla circolazione e il coprifuoco.

Il caro biglietti – Nelle ultime ore la stessa ambasciata italiana, in coordinamento con l’Unità di Crisi della Farnesina, sta cercando di organizzare un ponte aereo da Lima tramite una società privata. Una soluzione che forse costerà cara ad Alessandro e agli altri turisti in Perù, tenuti aggiornati con una chat Whatsapp. «Forse il biglietto per il volo costerà tra i 600 e gli 800 euro – spiega il 31enne – Molti si stanno lamentando perché sarebbe un prezzo eccessivo per un rimpatrio di emergenza. Io so già che perderò dei soldi in questa storia». Un problema, quello delle tariffe, che riguarda anche le persone bloccate in altri paesi. Le cifre necessarie per prenotare i pochi voli disponibili in molti casi superano addirittura i 2mila euro. Se la soluzione si concretizzasse, ad Alessandro non resterebbe che raggiungere la capitale, distante però 22 ore di bus da Cuzco o con un volo interno. Un’impresa meno semplice del previsto, anche con la regia delle diplomazie internazionali. «Un gruppo di 200 francesi – racconta Alessandro – ha cercato di raggiungere la capitale con un bus speciale organizzato dall’ambasciata per prendere un volo ma sono stati fermati dalla polizia e rimandati negli ostelli».