L’epidemia di coronavirus ha diviso l’Italia in tre: un’area ad alta, una a media e una a bassa intensità. Come parametro di riferimento, quello più drammatico: la mortalità della popolazione. Uno studio congiunto di Istat e  Istituto superiore di sanità (Iss) presenta dati allarmanti: le morti nel mese di marzo (media delle tre aree individuate) sono aumentate del 49,4% rispetto allo stesso periodo dei 5 anni precedenti. Tradotto nel numero complessivo, si tratta di un incremento di 25.354 persone. Di queste, più di una su due (54%) ha ricevuto la diagnosi di Covid-19.

Crescita a tre cifre – La spaccatura in aree è evidente quando il dato nazionale viene scorporato su base territoriale. L’eccesso di mortalità della popolazione, quelle 25mila persone di cui sopra, si registra in massima parte in quella che Istat e Iss identificano come zona ad alta intensità: le regioni del Nord e la provincia di Pesaro-Urbino. Nove morti su dieci tra il totale di quelle che sforano la media degli anni precedenti (89%) si concentra qui. Andando a vedere le singole provincie, alcune di esse hanno fatto registrare incrementi drammatici: Bergamo è in crescita del 568%, Cremona del 391%, Lodi del 371% e Brescia del 291%.

Centro e Sud – Lo studio congiunto dei due istituti, condotto sull’87% dei Comuni e l’86% della popolazione residente italiana (quindi molto significativo a livello statistico), mostra nettamente la differenza tra il Nord e le altre aree del Paese. Nelle aree a media diffusione del Covid-19, che equivalgono grossomodo al Centro e ad alcune zone del Settentrione meno colpite, l’incremento è stato più contenuto: 2.426 persone in più rispetto alla media degli anni 2015-2019. Addirittura migliore la situazione nelle zone a bassa intensità, coincidenti col Sud e le Isole: qui a fine marzo i decessi sono diminuiti del -1,8% in confronto al quinquennio precedente.

Uomini e donne – La maggior parte dei casi di Covid-19 diagnosticati nel mese di marzo riguarda persone di sesso femminile (52,7%). Solo nelle categorie di bambini molto piccoli (0-9) e di persone tra i 60 e gli 80 anni gli uomini sono stati di più. Quanto alla mortalità del virus, però, l’incidenza è di molto maggiore sui maschi, tranne che per i più giovani (0-19 anni). Per le persone di sesso maschile comprese tre i 70 e i 79 anni l’eccesso di letalità è stato più impattante che per tutti gli altri: tra il 20 febbraio e il 31 marzo i loro decessi hanno registrato un ritmo di crescita di 2,3 volte maggiore agli anni precedenti.

Gli altri morti – Se la crescita è stata di circa 25mila persone e di queste quasi 14mila (54%) sono legate direttamente al coronavirus, come si spiegano le altre 11mila? La ricerca di Istat e Iss prova a ipotizzare alcune relazioni che sono tutte, come prevedibile, associabili al Covid-19. Decessi su cui non è stato eseguito il tampone, complicazioni indirette scatenate dal virus stesso (per esempio disfunzione del cuore o dei reni) e, infine, la crisi del sistema ospedaliero: molte persone sarebbero morte per paura di andare in ospedale e rischiare di contrarre il virus.