Non è bastato barricarsi lontano dal resto del mondo, negli impenetrabili spazi della foresta amazzonica. Il Covid-19, il virus che ha infettato ormai tutta la popolazione mondiale, non ha risparmiato neanche la tribù dei Kokama. Una ragazza di 20 anni, operatrice sanitaria e abitante in un villaggio al confine con la Colombia, è stata trovata positiva al test del Coronavirus. Adesso si teme il rischio di contagio anche per tutti i 280 mila indigeni brasiliani.

Il caso – La ragazza aveva lavorato a stretto contatto con un medico, poi anch’esso risultato positivo al virus. Entrambi erano stati impegnati a curare nelle scorse settimane, i casi già accertati della zona. La 20 enne vive in un villaggio del distretto di Santo Antônio do Içá.

La tribù – I Kokama o Cocamilla, la tribù a cui appartiene la ragazza, sono un gruppo etnico del Brasile diffuso anche in Colombia e in Perù, dove vive la maggior parte della popolazione che conta 20.000 membri. Nello stato brasiliano nella zona i Kokama si trovano nel distretto dell’Amazonas (sul fiume Solimões, nei comuni di Tabatinga, São Paulo de Olivença, Benjamim Constant, Amaturá, Santo Antônio do Içá, Tonantins, Fonte Boa, Tefé e Jutaí). A fine marzo, Sofia Mendonça, ricercatrice dell’Università Federale di San Paolo, aveva avvertito le autorità su un possibile contagio: «Esiste un grosso rischio che il coronavirus si diffonda tra le comunità indigene della Foresta Amazzonica provocando un genocidio». Secondo la studiosa, gli effetti di una malattia come il Covid-19 sarebbero stati ancora più devastanti su una comunità debole e meno preparata a livello sanitario.

Sud est a rischio – In Brasile i casi accertati sono 6.836 e le vittime sono salite a 240. Il trend dei decessi è in crescita: nelle ultime 24 ore sono morte 39 persone. Il Ministero della salute ha diffuso i dati, compreso quello sul tasso di mortalità che sarebbe del 3,5%. La maggioranza dei casi (il 62%) è concentrata nella zona sud-est del Brasile e quindi a Rio, Minas Gerais e San Paolo che è stato anche definito l’epicentro della pandemia.

Rocinha rio de janeiro

Il Presidente – «E’ solo fantasia» prima, «è solo un’influenzetta» poi. Queste le parole del Presidente del Brasile, Jair Messias Bolsonaro quando ancora era impegnato a ridicolizzare «l’isteria» degli altri stati nel fronteggiare la pandemia. Il primo di aprile invece,  i brasiliani e la comunità internazionale hanno assistito a un cambio di toni e il Covid-19, anche per Bolsonaro, è diventato «la sfida più grande». Nel discorso di soli otto minuti e trasmesso a reti unificate, il presidente di estrema destra ha moderato i termini e si è mostrato più conciliante rispetto alle misure di contenimento adottate nel resto del mondo. «La mia preoccupazione è sempre stata quella di salvare vite: tanto quelle che perderemo a causa della pandemia come quelle che saranno colpite dalla disoccupazione, la violenza e la fame», aveva sottolineato Bolsonaro riferendosi alle parole del direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanon Ghebreyesus, secondo il quale «molta gente deve lavorare tutti i giorni per guadagnarsi il pane quotidiano, e i governi devono tenere conto di questa popolazione». Nelle scorse settimane, il leader brasiliano aveve espresso idee molto diverse, tanto da essere soprannominato «Bolso-Nero» dal settimanale britannico The Economist , che lo ha paragonato all’Imperatore romano Nerone per il suo disinteresse verso la salute della popolazione. Nell’ultimo discorso invece ha sottolineato: «Non sto usando queste parole (di Ghebreyesus, NdR) per negare l’importanza delle misure di prevenzione e controllo della pandemia, bensì per mostrare che, allo stesso tempo, dobbiamo pensare alle persone più vulnerabili».

Gli indigeni – Sono stati per primi i leader delle comunità tribali a chiedere alle persone di isolarsi nelle zone più remote, di tornare nelle foreste. Controlli all’ingresso dei villaggi e strade sbarrate. Ferme le Comunità evangeliche e i preti missionari. Questa la situazione, per cercare di limitare i danni di una pandemia che se colpisse incontrollata i villaggi più remoti, ne sancirebbe probabilmente l’annientamento. Il Brasile, che già ha ampie zone di povertà e disagio sociale, con un sistema sanitario inadeguato, non può permettersi di ignorare le misure di distanziamento sociale. Moniti sui rischi del contagio di massa erano arrivati anche dai dirigenti delle favelas e da alcuni ospedali. Nelle scorse settimane i provvedimenti si erano limitati però a qualche misura dimostrativa, come quella che ha colpito una studentessa fiorentina di medicina, Bianca Nuti, rimpatriata prima di iniziare il tirocinio nell’ospedale Das Clínicas de Itajuba, perchè proveniente da un paese “zona rossa” (l’Italia) .