Il Coronavisrus è un ospite indesiderato in ogni famiglia italiana. Cosa succederà dopo che, per riuscire a scacciarlo, avremo passato settimane tutti insieme, senza sfoghi di alcun tipo? Come saranno cambiati i rapporti tra noi? La Sestina lo ha chiesto a Chiara Saraceno, sociologa ed esperta di famiglia, che non ha dubbi: nel bene e nel male ci scopriremo diversi e, in alcuni casi (ma non sempre), migliori. E avremo imparato cosa cambiare nel rapporto che abbiamo con noi stessi e con chi ci sta accanto. Senza illudersi che vada tutto bene. Perchè non sempre (pensiamo a certi casi di violenza domestica) c’è una via d’uscita.
Dottoressa, quali sono gli aspetti negativi e positivi della convivenza obbligata in famiglia?
«Innanzitutto, bisogna distinguere, perché non siamo tutti uguali e non abbiamo tutti le stesse risorse fisiche, materiali e spaziali. Un conto è dover stare in casa con spazi adeguati in cui ciascuno possa avere anche il proprio spazio individuale, così da potersi distanziare un po’ dagli altri, e un conto è invece non averlo. Un conto è avere le risorse per seguire i figli, se i figli ci sono e vanno a scuola, e un conto è non averle. Questa è per tutti è una fatica aggiuntiva che può essere molto pesante e far nascere anche dei sensi di colpa perché non ce la si fa e così via. Questa emergenza ha reso manifeste, se mai ce ne fosse stato bisogno, le disuguaglianze. Ma quelle che di solito non vengono viste, proprio quelle della vita quotidiana e non solo rispetto al reddito o al lavoro che si fa. Ciò detto, l’aspetto che viene sempre definito “positivo” è che si ha più tempo per stare assieme. Però già si vede, per esempio, che il telelavoro non è questa panacea per l’esistenza. Il telelavoro è un bene se uno non deve contemporaneamente anche guardare i figli o dover discutere magari per l’uso dell’unico strumento elettronico a disposizione della famiglia. Dunque c’è un po’ più di tempo per fare le cose invece di non averlo nemmeno per guardarsi in faccia. D’altra parte, però, forse questo tempo è troppo. Manca la possibilità di prendere le distanze, di stare con altri. Questo vale per gli adulti come per i ragazzi».
Quali sono gli effetti della quarantena sulle persone, a che scenari andranno incontro le famiglie dopo questo – ancora indefinito – periodo di tempo?
«Dipende da come le famiglie sono riuscite a viverlo e non solo come capacità personale ma anche come possibilità di poter trarre il massimo positivo possibile, limitando invece i danni. Una cosa positiva che non viene spesso detta è che forse gli uomini, i mariti e i padri ,capiranno che il lavoro domestico va fatto, anzi ne va fatto di più perché si è tutti in casa. Quindi forse ne faranno di più, daranno una mano.. Anche i figli maschi e femmine impareranno a fare un po’ di cose che magari – si spera – saranno poi in grado di portarsi dietro. Soprattutto speriamo che la donna sia in grado di mantenere questa collaborazione anche dopo. Spero che le madri non si sentano costrette a dover fare tutto e si trovino ancora più sole, mentre tutti gli altri se ne stanno arrabbiati chiusi in camera loro».
L’assenza prolungata di contatto da un lato (se si hanno conviventi che lavorano per esempio in ambito sanitario) e dall’altro la stretta vicinanza dentro casa (e con esso anche le violenze domestiche) avranno conseguenze sui rapporti familiari?
«Chi si occupa di queste cose come il telefono rosa e i centri anti-violenza sta sollevando preoccupazioni perché sono drasticamente diminuite le richieste di aiuto, e non è verosimile che sia diminuito il bisogno di aiuto ma è diminuita la possibilità di chiederlo. Ci sono donne e magari anche donne con bambini chiuse in casa con un uomo violento da cui non possono fuggire e da cui non possono neanche liberarsi nelle ore in cui lui va a lavorare e che quindi hanno difficoltà a telefonare. Anche in condizioni normali può darsi che questa forzata convivenza dopo un po’ e dopo il piacere di aver più tempo per stare insieme, cominci a diventare troppo stretta. Una persona potrebbe uscirne danneggiata nel rapporto o anche rafforzata. Altro è la lontananza, pensando a chi lavora in ospedale ma anche ai volontari delle cooperative sociali che vanno in giro a portare cibo alle persone sole, quelli che lavorano per i trasporti o le commesse. Persone che sicuramente hanno una preoccupazione ulteriore dovuta al distanziamento delle persone con cui vivono, cioè il distanziamento obbligato rispetto ai genitori o ai nonni che non si possono più “avvicinare”. Ci sono anche persone che vivono sotto lo stesso tetto ma devono invece difendersi gli uni dagli altri e questo richiede strategie di comunicazione e anche psicologiche importanti. Questo per esempio potrebbe anche rafforzare il rapporto perché si vede che qualcuno sta facendo fatica e quindi per gli altri potrebbe diventare l’eroe della famiglia».
Da sociologa, come si spiega la corsa ai supermercati delle famiglie? Come si spiega la paura di rimanere senza cibo?
«Senza cibo e senzatutto. Non è una cosa solo italiana, avviene dappertutto. Mia figlia abita a Berlino e mi ha detto che capita anche lì, ci sono paesi come l’Australia dove manca persino la carta igienica perché c’è stato un accaparramento della carta igienica. È come se fosse l’unica cosa su cui si ha il controllo: il consumo. Garantirsi il consumo. È un clima da guerra ed è avvenuto in Italia anche in altri momenti. Ci sono stati momenti in cui ci sono stati attacchi terroristici e una delle prime cose che la gente faceva era fare la spesa, pensando che stesse succedendo qualche cosa. È una cosa molto strana, non razionale ma che risponde al bisogno di sicurezza. Come dire: “l’unica cosa che posso controllare è di poter continuare a nutrire la mia famiglia, lavarmi i denti e così via”. C’è anche un po’ di egoismo. Mi premunisco io, poi che gli altri si arrangino».
Come si comporterà l’uomo all’interno della società finito questo periodo inedito?
«Credo che i modelli di comportamento imparati nell’emergenza rimarranno per un po’ di tempo. O, meglio, si oscillerà tra l’idea che tutto è finito e imprudentemente ci si affretterà a far tornare tutto come prima (grandi vicinanze sociali, feste, assembramenti) e invece un persistente timore che l’altro sia un potenziale nemico, cioè un portatore di pericolo, di rischio. Dovremo un pochino a imparare a rinegoziare l’equilibrio tra distanza e vicinanza. Tra il dover stare in un rapporto e il rispetto anche del rischio. Spero che avremo imparato che il nemico possiamo potenzialmente essere anche noi , quindi dobbiamo smetterla di pensare con la logica dell’amico-nemico. Improvvisamente abbiamo scoperto che anche noi possiamo essere il nemico dell’altro e che anche i nostri cari possono essere nemici – nel senso di portare male, come i nipoti che non possono vedere i nonni per difenderli da sé stessi per esempio. È un’esperienza davvero nuova, il nemico è in te. Il rischio, il pericolo è in te. Sei tu, possono esserlo i tuoi cari, puoi esserlo tu per gli altri. È una grande lezione per chi continuamente invece è sempre alla ricerca del nemico esterno».
Quindi questo potrebbe creare dei nuovi equilibri all’interno della famiglia?
«Si spera. Se si rifletterà a sufficienza sull’esperienza, senza credere che dopo una crisi si possa tornare come prima. Ma questo è un discorso generale che non vale solo per i rapporti intrapersonali, vale per l’economia, vale per tante cose. Si faceva volentieri a meno di questa crisi. Però speriamo che almeno serva per farci imparare qualche cosa di positivo e capire cosa va cambiato. Sia nei rapporti personali, sia nella famiglia, si scopre che qualcosa era stato sottovalutato. Se c’erano degli aspetti dell’altro o della relazione che erano dati per scontato nella quotidianità “normale”, ma anche nelle relazioni sociali».
I genitori, magari padri e madri di bambini piccoli, come possono cercare di trarre una formazione da questo momento?
«Su questo esistono tantissimi siti, è impressionante la quantità di consigli sul “che cosa fare” con i bambini. Anche qui dipende non solo dalle risorse materiali che uno ha ma serve anche un minimo di competenza. Se ne ascoltano moltissimi di consigli ma serve anche che le persone siano in grado di seguirli, questi consigli, questo è il problema drammatico. Con i figli più grandi è un po’ più complicato perché sono quelli a cui gli amici mancano di più e per i quali la socialità è importante. Consentire quindi, nelle misure possibili, di tenere i contatti con gli amici e seguirli nella scuola ma non sostituendosi all’insegnante – come ahimè si aspettano gli insegnanti che facciano i genitori. Ma utilizzando questa occasione anche per scoprire cose da fare con i figli. Magari prima si andava al museo e ora si può fare lo stesso con un uso intelligente di internet. Ma anche scoprire il lavoro domestico come responsabilità o come attività che ha un senso. Crescere qualcosa, piantare, leggere insieme e ascoltare della musica. Può essere anche un’occasione per scambiarsi delle idee e i propri gusti culturali.
Come superare i momenti di crisi se non si ha una via d’uscita?
«Non tutti avranno una via d’uscita. Pensi alle situazioni di violenza. Questo è il problema. Per questo alcune associazioni cercano almeno di mantenere dei contatti telefonici, ed è interessante anche vedere quello che viene inventato da questi gruppi per continuare a fare il lavoro che facevano prima ma con mezzi diversi, e senza illudersi che in situazioni pesanti tutto ciò possa bastare. Era già difficile prima e adesso è ancora più difficile. Le persone più vulnerabili rischiano davvero di pagare duramente questa storia. Qualcuno può essere molto solo, già essere in due in casa è un sollievo. Quando uno è da solo, anche se è autonomo, deve fronteggiare una situazione pesante, deve aspettare che qualcuno gli telefoni o usare Skype. Alzarsi la mattina sapendo che non si scambierà una parola con nessuno è dura.