Consip

Sono tre i filoni dell’indagine portata avanti dalle procure di Napoli e Roma sul caso Consip, la centrale unica degli acquisti della pubblica amministrazione. Due di questi coinvolgono Alfredo Romeo, imprenditore campano nel settore delle pulizie.

Corruzione. Secondo le ipotesi dei pm, l’imprenditore napoletano avrebbe chiesto indirettamente aiuto a Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio per ricevere in futuro degli appalti e nel frattempo avrebbe pagato diverse tangenti a Marco Gasparri, ex dirigente Consip per ricevere dritte su come vincere il bando “Facility management 4”, dal valore di 2,7 miliardi di euro. Proprio quest’ultimo filone legato alla corruzione di Gasparri, ha portato all’arresto di Romeo lo scorso 1 marzo. La gara d’appalto FM4, bandita nel 2014, riguardava la fornitura di servizi di manutenzione e pulizia di alcuni palazzi della pubblica amministrazione a Roma. Romeo ha ottenuto 3 lotti sui 18 previsti, per un valore complessivo di 600 milioni di euro. Per vincere l’appalto Romeo avrebbe dato 100mila euro dal 2012 al 2016 a Gasparri in cambio di informazioni privilegiate che permettessero alla “Gestioni Romeo spa” di rispettare i requisiti richiesti dai bandi Consip.

Origine. L’inchiesta è partita nel dicembre del 2016 dalla procura di Napoli. John Woodcock, Enrica Parascandalo e Celeste Carrano, pm della locale Direzione distrettuale antimafia (Dda) stavano indagando Romeo per concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo aver vinto un appalto per la pulizia dell’ospedale Cardarelli, il più grande del capoluogo campano, secondo i magistrati Romeo avrebbe assunto persone vicine alla camorra. L’indagine si è allargata fino a coinvolgere la Consip che ha sede a Roma. Per questo la procura di Napoli ha passato le carte dell’indagine a quella della capitale che ha iniziato a indagare sulla centrale di committenza.

Traffico d’influenze. Secondo i pm, Romeo avrebbe trovato un’altra strada per vincere in futuro gli appalti gestiti dalla Consip: ottenere l’appoggio indiretto di Tiziano Renzi, in cambio di denaro. Secondo l’ipotesi degli inquirenti Renzi avrebbe sfruttato il suo status di padre dell’allora presidente del Consiglio per fare pressioni sull’amministratore delegato della Consip Luigi Marroni. Carlo Russo, imprenditore farmaceutico di Scandicci avrebbe fatto da mediatore tra Romeo e Tiziano Renzi sfruttando la sua storica amicizia con il padre dell’ex presidente del Consiglio. Per questo Renzi padre è indagato per traffico di influenze. Un reato previsto dal codice penale nel 2012 che punisce chi fa da mediatore per un accordo a rischio corruzione sfruttando la sua carica o status. Su questo filone sta indagando la procura di Roma, dopo aver ricevuto le carte da Napoli. Secondo le rivelazioni dell’Espresso, Marroni avrebbe confermato ai pm di aver ricevuto pressioni da Tiziano Renzi, per accontentare Russo, persona di sua fiducia. Federico Bagattini, avvocato difensore di Renzi sostiene che l’incontro non sia mai avvenuto, né sia stato fotografato o intercettato dagli inquirenti e per questo ha chiesto un controinterrogatorio a Marroni. L’ad di Consip, secondo il settimanale, avrebbe anche confessato di aver ricevuto pressioni da Denis Verdini e Ignazio Abrigani, deputati di Ala per assegnare appalti per centinaia di milioni di euro a Roma.

Terzo filone. Gli inquirenti della procura di Roma per capire se i loro sospetti sul tentativo di corruzione di Romeo fossero fondati, hanno piazzato delle cimici nell’ufficio di Luigi Marroni, amministratore delegato della Consip, con l’obiettivo di carpire più informazioni. A inizio dicembre Marroni scopre la presenza delle cimici e ordina una bonifica del suo ufficio per rimuoverle.. Convocato dai pm di Napoli il 19 dicembre, Marroni confessa di aver saputo da quattro persone e in momenti diversi di essere intercettato. A rivelarlo sarebbero stati Luca Lotti, attuale Ministro dello Sport, all’epoca sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Renzi, Emanuele Saltalamacchia, comandante dei carabinieri della Legione Toscana e Filippo Mannoni, presidente di Publiacqua, la municipalizzata delle acque di Firenze. Tutti e tre personaggi molto vicini a Matteo Renzi, sono indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto. Marroni avrebbe rivelato ai giudici di aver avuto la soffiata anche dal presidente della Consip Luigi Ferrara, sicuro della notizia perché ricevuta a sua volta dal comandante dei carabinieri Tullio Del Sette. Lotti, convocato dai pm il 27 dicembre ha dichiarato la sua estraneità ai fatti.

La quinta soffiata. Il quotidiano «La Verità» rivela però un nuovo scenario. Grazie alle cimici piazzate nel giardino della casa di Tiziano Renzi a Rignano sull’Arno, i carabinieri del Noe (nucleo operativo ecologico) avrebbero sentito il generale Saltalamacchia suggerire a Tiziano Renzi di non parlare con Romeo già a fine ottobre del 2016, durante un pranzo. L’indiscrezione confermerebbe il sospetto degli inquirenti, che non riuscivano a spiegare il senso della telefonata del 7 dicembre tra Carlo Russo e Roberto Barglilli, autista del camper usato da Matteo Renzi per girare l’Italia durante le primarie contro Bersani del 2012. Nella telefonata agli atti, Bargilli chiedeva a Russo di non chiamare né mandare messaggi a “Babbo” (secondo gli inquirenti nome in codice per indicare Tiziano Renzi). Le intercettazioni telefoniche e ambientali erano iniziate solo due giorni prima, il 5 dicembre, troppo poco per aver già capito di essere spiati.

“Babbo Renzi” dai pm. Il 3 marzo Tiziano Renzi viene sentito per quattro ore dalla pm di Napoli Celeste Carrano e quello di Roma Paolo Ielo. I magistrati chiedono anche il perché dell’avvenuto il 7 dicembre a più di 300 km da casa per soli 40 minuti con un uomo ribattezzato «mister x» dalla stampa italiana, lo stesso giorno della telefonata tra Bargilli e Russo. Renzi afferma che è si è trattato di un semplice appuntamento di lavoro con Alessandro Comparetto, direttore generale della società di poste private Fulmine group. Comparetto, che ha alcuni affari in corso con Renzi padre, ha confermato il 6 marzo l’incontro. 

I pizzini. In carcere dal 1 marzo, Alfredo Romeo decide di non parlare davanti al giudice per le indagini preliminari (gip) Gaspare Sturzo nell’interrogatorio di garanzia. Ma i suoi legali rilasciano dopo l’incontro una memoria difensiva. Romeo dichiara di non aver mai conosciuto il padre dell’ex presidente del Consiglio e di aver visto una sola volta Marroni, ma non a titolo personale. L’imprenditore campano accusa gli inquirenti di aver acquisito «prove inutilizzabili». Si riferisce ai fogli trovati dagli inquirenti il 15 e 26 settembre, in una discarica vicina all’ufficio di Romeo. I pizzini contenevano due indicazioni: versare 30mila euro al mese a «T» (secondo gli inquirenti Tiziano Renzi) e 5mila euro ogni due mesi a CR (secondo gli inquirenti Carlo Russo). Per i pm questi fogli e un’intercettazione in cui Romeo dice di aver «già incontrato Renzi» sarebbero una prova inconfutabile. La difesa di Romeo lamenta la forma e il contenuto di questi «pizzini che sarebbero stati acquisti senza legali e senza una perizia calligrafica che ne attesti l’autore».