L’ergastolo. Il carcere a vita. Questa è stata la richiesta del pubblico ministero, Maurizio Ascione, durante l’udienza di venerdì 9 giugno nel processo che vede imputato l’ex conduttore Rai Alessandro Cozzi (qui tutto quello che c’è da sapere sul processo). La violenza dell’atto, la reiterazione del reato e la pericolosità dell’imputato, ancora oggi. Sono solo alcune delle motivazioni che hanno spinto il magistrato a proporre una pena così dura.

La requisitoria«Cozzi ha tardato nel chiamare i soccorsi, come ricordato da più testimoni. I tabulati telefonici e il contenuto dei messaggi mostrano delle contraddizioni». Inizia così la requisitoria del pm Ascione. Ma nell’ora e mezza in cui ha parlato, ha aggiunto molto altro. «Contraddizioni che sono state riscontrate anche nelle intercettazioni dal carcere, nel 2011, tra Cozzi e la moglie, Graziella Segat. “Questa volta ti è andata male” dice lei. E Cozzi: “Ascolta, quest’ultima volta ero fuori di me, quella domenica là, ti ricordi, sono tornato poi”. A cui si sono aggiunti tentativi di indottrinare la moglie su come rispondere agli inquirenti».
Sotto esame, e riproposte da Ascione, ci sono state anche le dichiarazioni dei familiari della vittima e di dipendenti della Innova Skills che hanno ricordato Alfredo Capelletti come una persona solare, che non si sarebbe tolta la vita. Al contrario, secondo i testimoni, l’unica preoccupazione dell’imprenditore sarebbe stata l’infedeltà di Cozzi, che sembrava si stesse appropriando di cifre destinate all’azienda.
Proprio le irregolarità finanziare sarebbero state il movente. «Un gesto di estrema violenza e inatteso dalla vittima. Non si può non tener conto della perizia psichiatrica: “Risente dolorosamente delle critiche e reagisce con irritazione se si sente minacciato”. Cozzi non è solo responsabile dei fatti ma capace ancora di compierli, per questo si chiede la condanna all’ergastolo». Alessandro Cozzi sta attualmente finendo di scontare una pena a 14 anni di carcere per l’omicidio di Ettore Vitiello, compiuto nel 2011. «In caso di scarcerazione anticipata, chiediamo l’applicazione della custodia cautelare in carcere», conclude Ascione.

Parla Cozzi – Quando a prendere la parola è l’imputato nell’aula cala il silenzio. È la prima volta che parla e lo fa con una deposizione spontanea. Nessuna interruzione, nessun contraddittorio. Parla per più di mezz’ora, dalla sua amicizia con Alfredo Capelletti al ritrovamento dell’imprenditore. «Fino alla fine dei miei giorni avrò il rammarico per averlo lasciato lì. Non avrei mai potuto pensare che Alfredo si togliesse la vita, se mi fossi fermato in ufficio…», afferma Alessandro Cozzi, ricordando quel 13 settembre 1998. «Era molto a disagio con sé stesso, considerava esaurito il suo matrimonio e questo lo faceva stare male. Era cupo, mi disse che non si riconosceva più, che voleva cambiare», ricorda Cozzi. «Quel pomeriggio parlammo. Lo rimproverai, gli dissi che non avrebbe dovuto lasciare la famiglia. Mi rispose: “voglio pensarci su, lasciami qui” e me ne andai dall’ufficio», conclude Cozzi, che conferma così di essere stata l’ultima persona ad aver visto Alfredo Capelletti in vita.

Autopsia psicologica – Il dottor Carlo Bernabei, specialista in Medicina legale e delle assicurazioni, spiega in cosa consiste l’autopsia psicologica fatta sulla vittima.«Si ricostruisce lo “stato psicologico” del soggetto deceduto nelle settimane prima della morte, analizzando eventuali condizioni di disagio che avrebbero dovuto portarlo al suicidio. La professione e i progetti futuri del Capelletti, oltre che l’attaccamento alla famiglia, erano per lui fonte di sentimenti positivi. Non avrebbe avuto ragione di uccidersi», afferma il professor Bernabei. Il difensore di Alessandro Cozzi, l’avvocato Fabio Palazzo, sottolinea il fatto che la «valutazione probabilistica dell’autopsia psicologica», basata sugli atti del processo forniti dall’avvocato della famiglia Capelletti, Luciano Brambilla, sia stata redatta dalla professoressa Isabella Merzagora dell’Istituto di Criminologia della Statale di Milano, non iscritta all’albo dei medici ma a quello degli psicologi.

Ipotesi suicidio – Il medico legale Andrea Gentilomo ha steso una relazione che avalla la tesi del suicidio di Alfredo Capelletti. «In Germania è stato svolto uno studio su 12 casi di suicidio. È capitato che la vittima si estraesse da sola l’arma. È probabile che Capelletti si sia colpito da seduto, visto il sangue sulla poltrona, che poi si sia alzato estraendosi il coltello e che si sia accasciato a terra stringendo l’arma nella mano sinistra», spiega il professor Gentilomo. Proprio la posizione del coltello nella mano della vittima è stata a lungo dibattuta. Al dottor Gentilomo è stato chiesto di impugnare l’arma che uccise Alfredo Capelletti nel modo in cui ritiene lo avesse fatto la vittima nel suicidarsi. Il presidente Giovanna Ichino chiede spiegazioni a più riprese, incalzando il teste, lasciando trasparire un certo scetticismo nei confronti della versione fornita dal medico.

di Valentina Danesi e Giulia Virzì