“La sentenza è un oltraggio alla Giustizia, al buon senso e alla logica. Del resto il processo è partito dalla fine, dal ricovero in ospedale. Tutto il contrario della realtà, come se Stefano Cucchi non avesse subito il pestaggio che si vede dalle foto. Coperto dal peggior nulla che ci sia: quello di chi non vuol vedere e sentire”. Così Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi, il diciottenne deceduto nel 2005 a Ferrara durante un controllo di polizia, ha commentato su Facebook la sentenza per la morte di Stefano Cucchi, secondo cui il giovane non fu “pestato” nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, ma morì il 22 ottobre 2009, dopo una settimana di custodia cautelare in ospedale a causa di un errore dei medici.

“C’é qualcuno? Ci sentite?? Le amiche dei Cucchi e mie – prosegue Patrizia Moretti – circondate da guardie armate e sorvegliate a vista…. Temo che ci siano da parte dei potenti alcuni problemi nel discernere i delinquenti. Ve lo dico io: gli assassini sono quelli che ammazzano di botte la gente. Se non lo capite cambiate mestiere. Ci fate paura e non vi vogliamo nella nostra Italia onesta”.

Scrive quello che non ha avuto la forza di dire in tribunale Patrizia Moretti, gelata da “una sentenza vergognosa” insieme a Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto nel giugno del 2008 all’ospedale di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri, Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto a 51 anni il 30 giugno 2011 a Milano per arresto cardiaco mentre quattro agenti lo stavano arrestando, tutte strette alla famiglia Cucchi e alla sorella di Stefano Ilaria, diventata in questi anni l’icona della lotta.

Una battaglia che continuerà nelle aule dei tribunali: “Noi non ci arrendiamo, mio fratello Stefano è stato ucciso per una seconda volta”, dice Ilaria, dopo la crisi di pianto che ha accompagnato la lettura della sentenza. Una “giustizia ingiusta”- ha continuato la sorella – che ha condannato per omicidio colposo sei medici e assolto e assolto i tre infermieri” per non aver commesso il fatto” e tre agenti penitenziari ”per prove insufficienti”. “Stefano è entrato sano ed è uscito morto ammazzato”, ha aggiunto la madre. “Noi andremo avanti perché i colpevoli sono là dentro e devono uscire per forza. Fino a poco fa avevo fiducia nella giustizia, adesso non ce l’ho più”.

Sentenza accolta da grida e insulti ai magistrati chiamati “Assassini” dagli spalti della Corte d’Assise di Roma che però “ci rende per la gran parte soddisfatti” afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Come sindacato della Polizia Penitenziaria abbiamo sempre sostenuto che nella morte di Stefano Cucchi gli appartenenti al Corpo non hanno alcuna responsabilità e che la giustizia vera si debba affermare nella aule del Tribunale e non altrove, meno che mai nelle piazze”. “Non ci rende per niente soddisfatti, invece, viste anche le grida e le invettive in aula – prosegue Beneduci- il fatto che gli anni di sereno confronto e di dibattito democratico sul ‘caso’ Cucchi, a cui anche noi abbiamo partecipato, non siano serviti a far comprendere che, nella gravissima emergenza del carcere in Italia e nel degrado penitenziario che l’inerzia politica mantiene tale, la Polizia Penitenziaria costituisca l’unica reale risorsa al servizio dei cittadini”.

Alexis Paparo