«La culla è il luogo che salva il bambino da una vita che una donna ritiene insostenibile per un neonato e per lei stessa con quel neonato»: è quanto dichiarato da Melita Cavallo, ex Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma, che parla a La Sestina dopo le polemiche dei giorni scorsi sui casi dei neonati non riconosciuti a Milano.

Il caso – Ieri mattina (12 aprile) un neonato è stato lasciato alle cure dell’ospedale pediatrico Buzzi di Milano da una madre che ha partorito in uno stabile abbandonato a Quarto Oggiaro. Né lei né il padre hanno voluto riconoscere il bambino, affidandolo nelle mani degli operatori sanitari che hanno soccorso la donna. L’episodio segue quello di Enea, il neonato che, accompagnato da una lettera, il giorno di Pasqua è stato lasciato dalla madre alla Culla per la Vita della clinica Mangiagalli del capoluogo lombardo.

Cosa sono – Le Culle per la Vita sono delle strutture concepite per permettere alle madri in difficoltà di lasciare i neonati, totalmente protetti, al sicuro e nel pieno rispetto della propria privacy. Sostitute delle antiche ruote degli esposti, le culle per la vita sono tornate in Italia – dopo l’abolizione durante il ventennio fascista – solo nel 1992, grazie al Movimento per la Vita, associazione cattolica pro life che si occupa di combattere l’aborto e l’eutanasia. Le culle, definita anche “termiche”, sono dotate di riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h 24 e rete con il servizio di soccorso medico. Il Policlinico di Milano aderisce al progetto “Ninna Ho” della Fondazione Francesca Rava proprio tramite la struttura che ha accolto Enea. Le culle, però, non sono molto utilizzate: dalla sua attivazione nel 2007 a oggi quella della Mangiagalli è stata usata soltanto tre volte. «Più ce ne sono, meglio è. Il problema è che sono poco diffuse: una donna che sa che esistono ma non ne ha nella sua zona, non può andare in altre città o regioni per lasciare un bambino appena nato», ha dichiarato Cavallo.

Poche e mal distribuite In Italia, però, vi sono soltanto circa sessanta Culle per la Vita, distribuite in maniera disomogenea su tutto il territorio: per questo l’organizzazione non governativa Ai.Bi. vuole presentare una proposta di legge per renderne obbligatoria l’istituzione in ogni comune. «Più che di abbandono, si dovrebbe parlare di lasciare il bambino a una vita sicura, a una famiglia che potrà curarlo e amarlo. È un affidamento che la madre fa attraverso la legalità, perché questo bambino sarà seguito dal tribunale per i minorenni (dopo aver fatto le dovute visite in ospedale) che sarà in grado, nel giro di un mese, di individuare una coppia che possa prenderlo con sé come figlio», ha affermato la giudice.

Perché esistono? – Come è successo nel caso di Enea e delle relative polemiche, si dà spesso per scontato che la madre affidi il bambino a una Culla perché non può permettersi di mantenerlo. «Il motivo economico, secondo me, è quello più marginale – sostiene invece Cavallo -. Più probabili una violenza, una conflittualità familiare, un’estrema solitudine, oppure una donna che è arrivata qui anche da altri Paesi ma non può dare niente al bambino perchè deve lavorare. Oppure, ancora, non vuole far sapere al suo paese e alla sua famiglia che ha avuto un bambino qui in Italia. Una situazione di povertà estrema potrebbe esserci, ma io la escludo. Le donne sanno che possono rivolgersi ai servizi sociali o a tante associazioni che possono aiutare», aggiunge Cavallo. «Le donne che prendono questa decisione sanno che il bambino, quando viene lasciato in una culla termica, ha diritto a essere reso immediatamente adottabile dal tribunale per i minorenni. Questo vuol dire che la donna ha meditato, ha pensato e ha scelto questa via pensando che sia la via della salvezza per quel bambino».

Padri assenti La figura del padre, in questi casi, sembra essere assente dalle cronache. Questo accade perché, secondo il parere della giudice, in genere è assente o violento: «I padri esprimono la loro violenza sia fisica che psicologica che sessuale sulla compagna la quale, sapendo di essere incinta, a volte nasconde la gravidanza e poi porta il bambino in salvo. Pensiamo ai femminicidi: magari questa è un’alternativa che usano le donne per mettere in salvo bambini da situazioni di violenza prennunciata». Per le donne e le madri in difficoltà, Melita Cavallo lancia un appello: «Gli aiuti ci sono, però a volte le persone non sanno neanche a chi rivolgersi. Alcune non conoscono neanche la lingua italiana, quindi le informazioni devono essere date anche nelle lingue straniere. Bisogna che ci siano informazioni anche nei supermercati, che sono i luoghi più frequentati da queste donne sole».