Chi ha ucciso Serena Mollicone? Sedici anni dopo la morte della studentessa di Arce (Frosinone), ritrovata senza vita in un boschetto di Fonte Lupa con mani e piedi legati, non si hanno ancora risposte certe. Colpa di anni di depistaggi e piste false che hanno coinvolto anche il padre e il fidanzato della ragazza, e un carrozziere della zona. Tutti innocenti. Ora sembra esserci una svolta. Nel registro degli indagati della Procura di Cassino sono stati iscritti due nuovi nomi: Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, entrambi sottufficiali dei carabinieri. Il primo è accusato di favoreggiamento mentre il secondo dovrà rispondere di concorso in omicidio e istigazione al suicidio di un altro militare dell’Arma, Santino Tuzi, il primo ad accusare i colleghi della morte della ragazza. Suprano e Quatrale non sono gli unici carabinieri coinvolti nell’omicidio della studentessa. Oltre a loro, è indagato anche Franco Mottola, comandante della caserma dove Serena si presentò nel pomeriggio del 31 maggio 2001, forse con l’obiettivo di denunciare per spaccio il fidanzato, nonché figlio del comandante, Marco Mottola. Secondo una perizia dell’istituto Labanof, la ferita alla testa della ragazza è compatibile con i segni su una porta sequestrata nell’alloggio del comandante che è tuttora in servizio e avrebbe tramortito la ragazza con l’aiuto del figlio e della moglie Anna, anche loro indagati.

I casi di Firenze – Ma il caso Mollicone non è l’unico a vedere i carabinieri indagati o indiziati di reati anche gravi. Poco più di un mese fa, la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che condanna per omicidio colposo Vinceno Corni, Stefano Castellano e Agostino della Porta. Secondo quanto si legge nel dispositivo di sentenza, i tre militari avrebbero fermato e ucciso un quarantenne della zona tenendolo “prono a terra” in una “situazione idonea a ridurre la dinamica respiratoria”. Sempre a Firenze risultano indagati anche Pietro Costa e Marco Camuffo. I due, per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio, sono accusati dello stupro di due studentesse americane. Costa e Camuffo hanno ammesso di aver fatto sesso con le ragazze dopo averle accompagnate a casa ma hanno sempre parlato di un “rapporto consenziente”. Tesi che comunque non li salverà dalle accuse della procura militare che non indaga per stupro ma per le mancate consegne negli ordini di servizio. Entrambi i carabinieri hanno infatti commesso il fatto mentre erano in servizio.

Consip – Non solo reati contro la persona. Ad alcuni componenti dell’Arma si contesta anche il depistaggio. è il caso di Gianpaolo Scafarto e Alessandro Sessa. Il maggiore dei carabinieri e il colonnello, già coinvolti nell’inchiesta sulla fuga di notizie legate al caso Consip, sono stati sospesi dal servizio per dodici mesi con l’accusa di aver cercato di distruggere alcune prove a carico dei vertici della Consip. Secondo quanto si legge nella misura interdittiva, firmata dal gip Gaspare Sturzo, Scarfato avrebbe cancellato dallo smartphone di Sessa tutti i messaggi nei quali i due si sarebbero scambiati informazioni sull’inchiesta che vedi coinvolti il ministro dello Sport Luca Lotti, il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni e altri due vertici dell’arma: il generale di brigata Emanuele Saltamacchia e il comandante generale Tullio Del Sette. Quest’ultimo è stato indagato anche dalla Procura di Sassari per abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio per non aver avviato un procedimento disciplinare a carico di tre delegati Cobar. Il caso è stato archiviato.

Cucchi – Il 20 novembre scorso si è tenuta la prima udienza del processo d’Appello che vede imputati 5 carabinieri per la morte di Stefano Cucchi, morto per le ferite riportate da un brutale pestaggio avvenuto in caserma. Tre di loro, Alessio di Bernardo, Raffaele d’Alessandro e Francesco Tedesco, sono stati condannati in primo grado per omicidio preterintenzionale aggravato da futili motivi e abuso di autorità per aver sottoposto il giovane “a misure di rigore non consentite dalla legge”. Il maresciallo Roberto Mandolini e il sottoposto Vincenzo Nicolardi devono invece difendersi dall’accusa di falso e calunnia. Durante l’interrogatorio Nicolardi disse al pm Musarò che presso la stazione Cucchi “era stato trattato benissimo” e “non veniva neanche trattato da detenuto: lo hanno fatto mangiare e non lo hanno neanche messo in cella”. La versione è però stata smentita da un altro carabiniere che ha raccontato di aver chiamato il 118 perché “lo stato di Cucchi faceva impressione”, “aveva dolori alla testa e all’addome, un arrossamento anomalo sul viso, sotto gli occhi e quasi fino alle guance”. Al momento del decesso il giovane geometra pesava 37 chili. 6 in meno di quando era entrato in caserma, una settimana prima.