Fonte di vita, capacità d’irrigazione e alimentazione energetica, ma anche disastri e tragedie. Per secoli le dighe hanno contribuito allo sviluppo della civiltà umana. Per alcuni però questo ha voluto dire non solo deturpare il territorio, ma anche mettere in pericolo la popolazione. La tragedia dell’Himalaya del 7 febbraio è infatti solamente l’ultima di una lunga serie di crolli e cedimenti di queste infrastrutture, tanto preziose quanto fragili.
Il Vajont e il Gleno – In Italia il ricordo vola alla sera del 9 ottobre 1963, quando una frana genera un violento “tsunami” nella valle del Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto. Il disastro rade al suolo la cittadina di Longarone, provocando la morte di oltre duemila persone. Le polemiche che sono seguite non si sono mai realmente sopite. Il crollo della diga, considerata gioiello dell’ingegneria italiana, ha portato alla condanna – anche se lieve – di diversi dirigenti Enel, responsabili di averla costruita in una zona a forte rischio sismico. Ancora prima, nel 1923, la Lombardia fu sconvolta dal cedimento dell’appena inaugurata diga del Gleno, in Val di Scalve. Forti piogge provocarono il crollo della struttura che causò 356 morti. Dal processo che seguì emerse che i lavori erano stati fatti con superficialità e incuria, utilizzando materiali di seconda mano, a cui si unirono controlli statali inadeguati.
Disastri – In Cina furono addirittura 62 le dighe spazzate via dall’arrivo del Tifone Nina negli anni ’70. I documenti – desecretati solamente nel 2005 – hanno stimato le vittime intorno alle 26mila per le inondazioni, e oltre 145mila per le carestie ed epidemie che ne derivarono. L’ultimo grande disastro in ordine di tempo è avvenuto in Brasile solamente un anno fa, il 25 gennaio 2019. Il crollo della diga di Brumadinho, nello stato del Minas Gerais, ha causato almeno 272 morti e 22 dispersi accertati, ma i numeri sono probabilmente più alti. «Faremo tutto il possibile per assistere le vittime, contenere i danni, accertare i fatti, garantire la giustizia e prevenire nuove tragedie», aveva detto il Presidente brasiliano Jair Bolsonaro, mentre la società mineraria proprietaria dell’impianto è stata multata per 58 milioni di euro. Tre anni prima il crollo di un’altra diga di contenimento rifiuti aveva colpito la città di Mariana, nella stessa regione, provocando 17 vittime.
Difícil ficar diante de todo esse cenário e não se emocionar. Faremos o que estiver ao nosso alcance para atender as vítimas, minimizar danos, apurar os fatos, cobrar justiça e prevenir novas tragédias como a de Mariana e Brumadinho, para o bem dos brasileiros e do meio ambiente.
— Jair M. Bolsonaro (@jairbolsonaro) January 26, 2019
Riscatto – Tra tragedie e disastri però, le dighe sono state anche segni di rinascita e rinnovamento. L’inaugurazione di quella costruita nel 2011 in Etiopia, la più grande d’Africa, ha segnato un punto di svolta per la qualità della vita nel Paese. La produzione di energia è più che raddoppiata, in una zona in cui 65 dei 110 milioni di etiopi che la abitano non hanno accesso alla corrente elettrica. Contestualmente la diga ha cambiato anche gli equilibri del continente, in particolare riguardo la gestione del Nilo, da sempre ad egemonia egiziana. E proprio in Egitto si trova il Canale che più di tutte le infrastrutture ha fatto la storia: quello che arriva da Suez è il potere di controllare i traffici tra Mediterraneo e Oceano Indiano, nel cuore della geopolitica mondiale. L’annuncio della sua nazionalizzazione nel 1956 ha portato l’Egitto di Nasser all’indipendenza dalla corona britannica, e al riscatto di un popolo intero.