Roma, sede della Corte suprema di cassazione (Ansa/ Alessandro di Meo)

Rifiutare una proposta lavorativa seria e stabile, senza una valida giustificazione, potrebbe compromettere per l’ex coniuge la possibilità di ricevere l’assegno di divorzio. Lo ha stabilito il 23 gennaio la Corte di Cassazione con una sentenza che si allinea alle precedenti in materia. Peri giudici si tratta di violazione dei doveri post coniugali, basati sui principi di autodeterminazione e auto-responsabilità. La decisione della Corte, destinata a fare giurisprudenza, contribuisce a definire il quadro in materia divorzile che da marzo sarà rinnovato con l’entrata in vigore della riforma Cartabia.

Il caso- Un ex marito ha fatto ricorso alla Cassazione per chiedere la revoca dell’assegno divorzile di 48 mila euro annui lordi percepito dall’ex moglie. I motivi che hanno spinto l’uomo a chiedere la revoca della misura nei confronti della donna son stati l’inizio di una relazione stabile dopo il divorzio e il rifiuto da parte dell’ex coniuge di una proposta lavorativa da 32 mila euro annui e di una polizza assicurativa a suo nome per ottenere una pensione integrativa.

La decisione – In merito alla prima contestazione, la Cassazione ha stabilito che una nuova convivenza non esclude il diritto all’assegno divorzile ma ha dato ragione all’ex marito sulla seconda questione sollevata. Tra i presupposti perché sia corrisposta la misura vi è che il coniuge economicamente debole non abbia «mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni obiettive». Il contributo viene meno nel caso in cui l’ex coniuge diventi autosufficiente sotto il profilo economico. Il rifiuto dell’offerta lavorativa da parte della ex moglie avrebbe quindi rappresentato una condizione per far venire meno la misura. Su questi presupposti, la Cassazione ha ritenuto che siano stati violati i doveri post coniugali, che prevedono il diritto-dovere di rendersi autosufficienti, e ha accolto il ricorso dell’ex marito.

Dalla sentenza Grilli a oggi- La decisione della Corte si allinea all’impianto complessivo sull’assegno divorzile definito dalle Sezioni Unite. Fino al 2017 la misura era concepita per permettere al coniuge economicamente debole di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Dal 2017 la funzione dell’assegno divorzile è cambiata per evitare che il contributo economico diventasse vitalizio. «Chi dei due gode di una condizione economica maggiormente favorevole deve garantire all’altro non più il passato tenore di vita, ma soltanto l’autosufficienza economica», hanno stabilito gli ermellini con la sentenza Grilli.
Oltre alla funzione assistenziale, nel corso degli ultimi anni, l’assegno ha assunto per la Corte anche una funzione compensativa. Nella quantificazione della misura bisogna considerare anche le ambizioni lavorative che uno dei coniugi potrebbe aver sacrificato per dedicarsi maggiormente alla famiglia. È frequente, infatti, che dopo il divorzio sia difficile reinserirsi nel mondo lavorativo per chi della coppia si è dedicato durante gli anni del matrimonio alle necessità del nucleo familiare.

La riforma Cartabia – Da marzo entreranno in vigore le disposizioni della riforma Cartabia in materia di separazione e divorzio. I nuovi provvedimenti mirano a velocizzare e a semplificare i tempi del processo in questo ambito. Tra le novità che saranno introdotte, si potrà arrivare alla sentenza di separazione già alla prima udienza e i minorenni dovranno essere sempre ascoltati. L’attuazione della riforma però potrebbe essere frenata dalla carenza di personale. Secondo Gian Ettore Gassani, presidente degli avvocati matrimonialisti, servirebbero circa 12 mila esperti perché possano concretizzarsi le nuove disposizioni, previste per ora solo sulla carta.