«Tutto quello che vi chiedo è per favore di dare attenzione al suo caso perché potrebbe donarle la libertà». Con queste parole, in una lettera pubblicata sul sito della Bbc, la principessa Latifa Al Maktoum, figlia dell’emiro di Dubai e ministro degli esteri degli Emirati Arabi Mohammed bin Rashid Al Maktoum, ha lanciato il suo disperato appello al Regno Unito sul caso della sorella maggiore Shamsa. Nella missiva viene richiesto di far luce sulla sorte della ragazza, rapita oltre 20 anni fa dopo una fuga in Gran Bretagna e da allora mai più comparsa in pubblico. La lettera è stata fatta arrivare alle autorità del Cambridgeshire il 24 febbraio 2021 da alcuni amici della principessa e risale al 2019, periodo nel quale Latifa era a sua volta tenuta prigioniera dal padre. La lettera consegnata alle autorità è stata retrodatata al febbraio 2018 per nascondere la possibilità di Latifa di comunicare col mondo esterno durante la reclusione forzata. Questa è in realtà la terza richiesta presentata alla polizia di Cambridge sul caso di Shamsa.
Latifa – La prigionia di Latifa, in corso ancora oggi, sarebbe la conseguenza di un tentativo di fuga fallito del 2018, che era stato denunciato da un video shock pubblicato dalla BBC il 16 febbraio 2021, registrato di nascosto dalla giovane col proprio telefono nel bagno della villa trasformata in prigione. Nel filmato la donna raccontava anche di un’altra precedente rocambolesca fuga fallita nel 2002, a seguito della quale affermava di essere stata torturata e imprigionata per anni, andando incontro alla stessa sorte toccata alla sorella Shamsa, anche lei fuggita dal padre nel 2000. Dopo la pubblicazione del video le Nazioni Unite hanno richiesto al governo degli Emirati Arabi di provare che Latifa sia ancora in vita, senza ricevere alcuna risposta.
Shamsa – Da sempre descritta come una ragazza anticonformista e piena di vita, la principessa Shamsa ha ricevuto un’istruzione occidentale, crescendo in parte nel Regno Unito, e ha in passato più volte manifestato la sua voglia di emancipazione rispetto alla condizione femminile prevalente nel mondo arabo. I suoi ideali portarono presto a problemi e contrasti con il padre Al Maktoum, che all’epoca le impedì di proseguire gli studi universitari. Da qui l’idea della fuga, nell’estate del 2000, quando la allora 18enne principessa a bordo di una Range Rover nera guidò fino ai confini della tenuta milionaria del padre a Longcross nel Surrey, la contea sud-orientale dell’Inghilterra. Il tentativo ebbe un successo temporaneo e Shamsa poté assaporare la libertà solo per pochi giorni.
Il rapimento – Lo sceicco inviò immediatamente un team di agenti per riportare in gran segreto la ragazza in patria e il 19 agosto di quella stessa estate la donna fu prelevata contro la sua volontà in una strada di Cambridge. Trasportata in elicottero nel nord della Francia e infine messa su un jet privato diretto a Dubai, la principessa in poche ore ricadde sotto il giogo del padre. Dopo la cattura, sostiene Latifa nella sua lettera, la sorella fu torturata e frustata sui piedi come punizione per la fuga, quindi confinata per otto anni e tagliata fuori dal resto del mondo, senza la possibilità di comunicare con nessuno e di vedere la luce del sole. Nel 2008 a Shamsa fu permesso di uscire dalla prigione e poté incontrare Latifa, che così descrive quel momento: «[Mia sorella] non riusciva ad aprire gli occhi e le davano delle pillole per tenerla sotto controllo, che la rendevano simile a uno zombi». Al momento del rapimento Shamsa aveva 18 anni, ora ne ha 39.
Le indagini – All’epoca dei fatti furono necessari ben sette mesi prima che la notizia del sequestro giungesse sul tavolo dell’allora ispettore David Beck alla Parkside Police Station di Cambridge. Shamsa riuscì anche a consegnare a un avvocato dell’immigrazione una lettera contenente una richiesta d’aiuto alle autorità. Solo nel 2020 sono stati resi pubblici maggiori dettagli del caso in seguito a un ordine di divulgazione delle informazioni della Corte Suprema, dai quali è emerso che Beck riuscì a parlare al telefono con Shamsa e fece poi richiesta di recarsi a Dubai per intervistarla di persona e approfondire le indagini presso il Crown Prosecution Service. Ma la sua domanda fu respinta senza spiegazioni. Tra il 2000 e il 2001 l’ufficio londinese dello sceicco Al Maktoum contattò il ministero degli Esteri britannico in merito al presunto rapimento di Shamsa. Ma i dettagli di questo incontro non sono mai stati resi noti. Il Foreign Office ha motivato tale segretezza con lo scopo di «evitare potenziali danni alla relazione bilaterale tra il governo britannico e gli Emirati arabi uniti». Il caso è poi rimasto archiviato fino al 2018, quando è stato riaperto dopo la divulgazione di un nuovo messaggio da parte di Shamsa. Alla fine fu tutto chiuso per “mancanza di prove sufficienti a intraprendere azioni più approfondite”. L’emiro rilasciò alla Corte Suprema una dichiarazione in cui si giustificava, definendo la figlia maggiore come «soggetto più vulnerabile rispetto alle altre ragazze della sua età» per via della ricchezza e della fama della famiglia, che l’avrebbe resa un bersaglio appetibile per eventuali rapitori in cerca di riscatto. Da allora il governo di Dubai non ha mai risposto ad alcuna richiesta di commento sulla vicenda.