Agli ultimi posti in Europa, con una storia di leggi mai approvate lunga cinquant’anni. L’Italia è uno dei pochi Stati tra i 27 a non avere programmi di educazione sessuale obbligatoria in classe. Il tema è tornato d’attualità dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e dopo che il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato l’avvio di un piano “sull’educazione alle relazioni”, ma su base volontaria e per un’ora extracurriculare a settimana. Dalla Svezia alla Francia, dall’Austria alla Germania, sono diversi i Paesi europei che prevedono appositi programmi di educazione sessuale e sentimentale nelle scuole, cioè quello che l’Unesco ritiene un presupposto imprescindibile per la realizzazione di un pieno rispetto dei diritti umani e dell’uguaglianza di genere, tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu.

Italia tra i fanalini di coda in Europa – Insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania, l’Italia è tra i sei Paesi europei che non prevedono programmi obbligatori di educazione sessuale e sentimentale nelle scuole. Il ministro Valditara ha annunciato l’avvio di un percorso perché «per sradicare il maschilismo deve esserci la scuola», ma per ora il progetto del governo rimane facoltativo e al di fuori delle ore di lezione obbligatorie. Il piano, per cui sono stanziati 15 milioni di euro fino al 2027, è sperimentale: l’adesione delle classi è su base volontaria, servirà il consenso di genitori e studenti, sarà prevista un’ora a settimana ma solo per le scuole superiori e al di fuori degli orari curriculari (saranno coinvolti anche influencer, cantanti, attori e specialisti).

Il passato – C’era già un comma della “Buona scuola”, la riforma del governo Renzi, in cui si raccomandava di “promuovere l’educazione alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere nell’ambito dei programmi scolastici di ogni ordine e grado”, ma anche in quel caso le iniziative erano lasciate alle singole scuole. È almeno dal 1975, da quando il comunista Giorgio Bini presentò la proposta di legge dal titolo “Iniziative per l’informazione sui problemi della sessualità nella scuola statale”, che in Italia si discute sull’introduzione di un provvedimento che stabilisca ore obbligatorie di educazione sentimentale. Da allora e fino al 2019, si sono rincorse 16 proposte di legge, mai approvate. Ad oggi in Parlamento riposano quattro disegni, tutti delle opposizioni (due depositate alla Camera dei deputati e due al Senato) e mai calendarizzati per la discussione in Aula. Nell’attesa di un provvedimento organico e nazionale, sono le singole Regioni e scuole a muoversi in ordine sparso. Secondo uno studio che ha provato a mappare i progetti di educazione sessuale negli istituti tra il 2016 e il 2020, su 200 attività analizzate la media è stata di circa 6 ore, ma nella quasi metà dei casi queste attività si sono concentrate in una sola sessione.

I programmi di educazione sessuale in Europa – Nel resto d’Europa la situazione è diversa. Sono 21 gli Stati che prevedono progetti obbligatori di educazione sessuale e sentimentale nelle scuole, anche se secondo un recente rapporto dell’Unesco, solo dieci tra questi possono vantare un programma di Comprehensive Sexuality Education (Cse), che cioè affronta il tema con un approccio olistico e organico e non solo tagliato sull’aspetto biologico. Dallo stesso rapporto emerge che su 50 nazioni analizzate, solo una su cinque ha una normativa specifica sull’educazione sessuale. La Svezia, dove l’educazione sessuale e relazionale è obbligatoria dal 1955, è uno degli esempi europei più virtuosi ed è stato uno dei primi Stati a introdurre un’iniziativa di questo tipo. Qui i programmi sono obbligatori fin dalle scuole elementari, dove già si va oltre i temi biologici del rapporto, mentre per i gradi superiori i docenti sono obbligati ad avere una formazione ad hoc sul tema e a partecipare a corsi di aggiornamento. In Germania, dove l’educazione sessuale è realtà dal 1968, i programmi si allargano a questioni relazionali e a ruoli di genere, mentre i genitori non possono esonerare i propri figli, a differenza del piano Valditara. Nel Regno Unito dal 1996 sono stati introdotti progetti educativi obbligatori dagli 11 anni in poi, mentre in Finlandia – dove il tema è obbligatorio dai 7 ai 17 anni – gli insegnanti ricevono una formazione in educazione sessuale già nei programmi di formazione universitaria. Secondo un report realizzato dal Centro federale tedesco per l’educazione sanitaria, dopo la Svezia è l’Austria ad avere i programmi più avanzati: qui l’educazione sessuale è obbligatoria in diverse materie scolastiche, per tutti dai 10 anni fino alla fine delle superiori. In Francia, dove esiste una legge dal 2001, il governo è stato citato in causa da tre associazioni per una sua scorretta applicazione, mentre l’ultimo Paese a introdurre percorsi obbligatori, in tutti i cicli scolastici e nei corsi universitari, è stata la Spagna nel 2022.

L’approccio dei ragazzi – Secondo uno studio del 2011 delle Nazioni Unite, redatto dal Department of Economic and Social Affairs e dal titolo “The impact of sex education on the sexual behaviour of young people”, i programmi di educazione sessuale ritardano l’età del primo rapporto, mentre dove sono assenti si registrano alte percentuali di adolescenti che sul tema si informano online. In Italia, come riportato da una ricerca del 2019 del ministero della Salute, 9 ragazzi su dieci si documentano su Internet, spesso ricorrendo a siti pornografici, contro il 50% dei ragazzi svedesi. A livello globale il 30% dei chi ha tra gli 11 e i 12 anni vede pornografia online, in Italia il 44% dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni. Secondo alcuni studi di Nicky Stanley e di Elena Martellozzo, citati da Michela Gabanelli sul Corriere della Sera nel suo Dataroom del 18 luglio 2021, gli adolescenti esposti con regolarità a video e immagini porno avrebbero atteggiamenti sessisti e più aggressivi: il 70% dei ragazzi percepisce le donne come “oggetti sessuali” (contro il 30% di chi non li guarda), il 34% ha fatto pressioni sulla partner per avere rapporti, il 48% ha chiesto alla propria ragazza di inviare foto di parti intime (contro il 25%). Negli ultimi 5 anni, in Italia, secondo i dati del Viminale le denunce di revenge porn a carico di minori, un reato per cui si rischia fino a 6 anni di carcere, sono aumentate del 490%.

Confronto difficile – Ma che effetti hanno i programmi di educazione sessuale e sentimentale sulla violenza di genere? I dati sono discordanti e si prestano a più letture. Da una parte, lo studio delle Nazioni Unite dimostrerebbe come, di fatto, nei Paesi in cui è stata introdotta un’educazione alla sessualità si registrerebbero tassi di femminicidi più bassi. Dall’altra, guardando ai numeri forniti dall’Eurostat si osservano alcune anomalie. In Italia le violenze sessuali sono in crescita: nel 2013 si contavano 4.448 episodi denunciati, contro i 6.291 del 2022. Nonostante questo, il nostro Paese è messo meglio rispetto a molti altri. Lo Stato con più violenze sessuali denunciate in rapporto alla popolazione è proprio la Svezia, il primo Paese che in Europa ha introdotto percorsi obbligatori di educazione alla sessualità. Peggio dell’Italia ci sono anche Francia, Germania e Spagna: tutte realtà con programmi di educazione nelle scuole. Il confronto tra Paesi è però complesso. I diversi ordinamenti prevedono infatti fattispecie di reato diverse e più o meno stringenti, ed è possibile che questi dati divergano dalle aspettative proprio perché ci sono Stati che includono nella “violenza di genere” fatti che altrove sono considerati diversamente (in Italia ad esempio non ci sono norme ad hoc sulle molestie sessuali sui luoghi di lavoro). Inoltre, chi interpreta questi dati tende a spiegarli anche alla luce della diversa cultura della denuncia che esiste nei diversi Stati, con i Paesi nordici (tra cui la Svezia) dove tendenzialmente ci si sente più liberi a rivolgersi alla giustizia.