«Nessun atto violento è rimasto impunito, ma non si parli di emergenza». La reazione del governo all’escalation di scontri tra le forze di estrema destra e gli antagonisti di sinistra, a pochi giorni dal voto del 4 marzo, è quella della «tranquilla fermezza». La mano salda è del ministro dell’Interno Marco Minniti, intervistato da Repubblica il 22 febbraio sugli eventi che stanno infiammando la campagna elettorale. Per tutti i casi, a cominciare dai fatti di Macerata, «la reazione è stata immediata», ha detto il ministro, «con perquisizioni, indagini, denunce circostanziate, fermi», senza distinzioni di colore politico.
Niente sconti – Una linea, quella del candidato alla Camera nel collegio di Pesaro-Urbino, irremovibile, anche a costo di destare perplessità tra le frange più a sinistra del suo partito, il Pd. «Il limite invalicabile è la violenza di qualsiasi colore. Si può essere radicali finché si vuole, nelle idee e nelle parole», ha detto il titolare del Viminale. «Le eccezioni violente invece non devono essere tollerate. E non vanno sottovalutate in alcun modo». Da ministro, Minniti non entra quindi nelle polemiche tra fascismo e antifascismo, ma avverte: «Non dobbiamo parlare di emergenza, dobbiamo misurare le parole». Il rischio, secondo il ministro, è quello di alimentare uno scontro che in tempo di campagna elettorale non farebbe altro che intensificarsi.
Il diritto di manifestare – Se da un lato Minniti predica tolleranza zero per i violenti, dall’altro ribadisce l’impegno a non vietare cortei e comizi politici. «Ci sono decine di manifestazioni ogni santo giorno. Le affrontiamo come abbiamo fatto sempre. Come abbiamo affrontato il 10 febbraio quando in Italia sono scesi in piazza 150 cortei». E per ora non ci sono timori nemmeno per la manifestazione antifascista indetta dall’Anpi il 24 settembre a Roma, che si preannuncia a rischio: «Fosse solo quella», ha risposto il ministro.
Rossi contro neri – Se però Minniti non vuole parlare di escalation, la cronaca delle ultime settimane racconta un copione diverso. Quello di un effetto domino, scatenato dall’attentato razzista di Macerata condotto da Luca Traini ai danni di sei immigrati. Una concatenazione di eventi che a molti – con le dovute proporzioni – ha fatto tornare in menti episodi degli anni Settanta. L’ultimo in ordine di tempo il pestaggio di cui è stato vittima Massimo Ursino, segretario provinciale di Forza Nuova a Palermo il 20 febbraio. L’uomo, 41 anni, era stato imbavagliato, legato mani e piedi, e picchiato dal almeno sei persone. Tra questi una ragazza che, smartphone alla mano, riprendeva la scena. La Digos ha già fermato due aggressori, militanti di estrema sinistra: sono Giovanni Marco Codraro, 26 anni, e Carlo Mancuso, 28 anni, entrambi appartenenti al circuito dei centri sociali dello studentato “Malarazza”. Un’aggressione che ha spinto la sera stessa i militanti di Forza Nuova a forzare gli studi di La7, mentre era in onda DiMartedì, la trasmissione di Giovanni Floris, con lo stesso conduttore intervenuto a placare gli animi.
Di matrice opposta, invece, quanto successo a Perugia nella notte di lunedì 19 febbraio, quando Mario Pasquino, barista 37enne e militante di Potere al popolo, è stato accoltellato mentre affiggeva i manifesti elettorali. L’uomo è stato ricoverato con otto giorni di prognosi per ferite alla schiena e gamba e contusioni alla testa. Secondo la versione della vittima, Pasquino sarebbe stato accerchiato da quattro membri di CasaPound, anche loro sul posto per affiggere i manifesti, e quindi aggredito. La sezione umbra di CasaPound, però, rispedisce le accuse al mittente: «Solo collutazione». Dalla Procura fanno sapere che stato aperto un fascicolo, ma non sarà semplice accertare le responsabilità.