«Una studentessa il primo giorno di lavoro mi ha detto che la terra le faceva schifo. Dopo due lezioni aveva le mani sporche di fango e alla fine del corso mi ha detto che si sarebbe iscritta ad agraria». A parlare è Elisa Gastaldi, 37 anni, originaria di Canneto pavese. Si racconta in una pausa dalle sue attività, trasmettendo a tutti una carica di energia e di positività anche dopo una giornata passata a lavorare la terra. Lei è il cuore di Elilù, l’azienda agricola di Castelnuovo Scrivia (Alessandria) appartenuta alla sua famiglia per 70 anni e che lei ha trasformato in un micro-mondo basato su rispetto per l’ambiente e inclusione sociale e che da anni ha attivato progetti di didattica con i ragazzini delle scuole piemontesi e i richiedenti asilo dello Sprar in provincia di Alessandria. «L’azienda agricola è nata come autosufficiente: mangiamo quello che coltiviamo, e allo stesso modo produciamo quello che ci serve per coltivare e allevare. Dalla frutta antica, alle verdure nell’orto, passando per l’allevamento di galline bionde piemontesi, vacche e vitelli torinesi e maiali neri di Garlasco nutriti con il nostro fieno. Il tutto su una porzione piccolissima di terreno». Con lei, a mandare avanti l’impresa ci sono la mamma e due tirocinanti, che presto verranno assunti. «Trasformiamo il grano in pasta fresca e prodotti da forno grazie al nostro mulino, seguiamo il principio di riduzione dei consumi producendo la nostra elettricità con un impianto da 18 kilowatt, preleviamo l’acqua dal nostro pozzo, depurandola con una tecnica che viene applicata anche in Africa e abbiamo un orto che lavora con il metodo di coltura sinergica, a impatto zero. Il tutto è biologico e certificato».

L’Inclusione e la didattica – Prendere e restituire: un principio base dell’agricoltura che Elisa Gastaldi ha fatto suo, trasformando Elilù in una “scuola di multifunzionalità agricola familiare” e tenendo lezioni sia inerenti al lavoro, sia finalizzate all’inclusione di persone svantaggiate o con disabilità. Un corso al mese, da tre anni, su argomenti diversi: dalla panificazione, alla creazione di orti con colture all’avanguardia. «“Saper fare” e “fare” vanno di pari passo, così come la condivisione del sapere – spiega – Quando ho dato vita all’azienda non sapevo come affrontare molte cose e avrei voluto che qualcuno me lo insegnasse. I corsi che teniamo hanno lo scopo di rendere le persone autosufficienti e di essere in grado di cavarsela da sole in futuro».

I progetti attivati nella piccola azienda non si fermano all’insegnamento: vanno oltre, trasformando il lavoro agricolo in cura e in opportunità. «Abbiamo aiutato richiedenti asilo con problemi psichiatrici causati dal viaggio grazie alla collaborazione con l’associazione di promozione sociale Calambache – continua – Si sono rimessi in gioco imparando un mestiere, facendo scattare il passaggio da integrazione a inclusione sociale. Allevamento e agricoltura servono anche a questo». Questo è il secondo anno che il progetto viene allestito: nel 2018 sono stati coinvolti nel lavoro in azienda tre ragazzi richiedenti asilo, mentre nel 2019, dopo il riscontro positivo del primo tentativo, i rifugiati coinvolti sono saliti a sei.

«L’allevamento ha un potere straordinario – spiega – l’animale chiama a un’empatia molto forte. Ai suoi occhi, non conta che tu sia bianco, nero o a strisce. Siamo tutti sullo stesso piano. Anche per l’orto vale la stessa cosa, in particolare per la coltivazione sinergica, che richiede una reciprocità costante tra l’uomo e le piante e tra le piante stesse. È un simbolo di inclusione». Quella dell’insegnamento è una forte componente della vita in azienda, non solo a persone con disabilità, ma anche ai bambini che visitano Elilù come fattoria didattica: «Sono figlia di insegnante e di agricoltore. Diciamo che sono una predestinata – racconta – Quando un’idea attecchisce in un giovane, è difficile sradicarla, per questo smontare diffidenze o far scattare in loro la passione è una delle cose più belle del mondo».

Il ritorno alla terra – «Nasco come storico dell’arte esperto in avanguardie del ‘900, poi ho lavorato come editore e anche in un planetario – continua –  sono specializzata in interdisciplinarietà: materie che si  sovrappongono e si intersecano. Così facendo generano un nuovo occhio per guardare al mondo». Ed è proprio in un circo di passioni che si sintetizza questa azienda: con le mani nella terra, radicata sul territorio, ma allo stesso tempo inclusiva grazie al riconoscimento di orto sociale, e con il naso all’insù, grazie al planetario che installato lo scorso anno. L’esigenza di creare prodotti controllati è arrivata assieme alla nascita dei suoi figli, contingenze di lavoro e scelte di vita l’hanno riportata alla terra, ma a chi le chiede se il suo lavoro frutti denaro, risponde così: «Se uno vuole arricchirsi, questo non è il mestiere per lui, non se lo vuole fare con autenticità. Il concetto è: voglio vivere bene, voglio aprire ogni settimana il salvadanaio e trovarci quello che mi serve per crescere i miei figli. Non ho paura della fatica e di mettere tutta me stessa in qualcosa».