«Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa “giocare” con la vita e il dolore altrui». Così scriveva Piergiorgio Welby, nel settembre del 2006, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere il riconoscimento del diritto all’eutanasia. Un riconoscimento che, pur essendo ancora lontano, continua a infiammare il dibattito pubblico. E’ per questo che le “parole” sul grande tema del fine vita oggi sono più importanti che mai. Per una maggiore consapevolezza su una realtà comune a tanti e perché, come diceva Welby, sono in gioco la dignità di chi soffre e la possibilità che sia il malato stesso a scegliere sul proprio corpo.

Accanimento terapeutico. Definizione inesistente nel dibattito internazionale, indica quei trattamenti che sono ritenuti sproporzionati e inutili rispetto al quadro clinico del paziente. La somministrazione forzata di tali terapie non è regolamentata, perché non esiste in Italia una legge che regoli il rapporto tra cura e abuso della cura.

Testamento biologico. In generale si intende un documento firmato attraverso cui l’autore può dare disposizioni anticipate sulla propria volontà, qualora in futuro si trovi in una condizione di malattia terminale, inguaribile o invalidante. Ad esempio, in caso di stato vegetativo persistente o di coma irreversibile. In tal modo è possibile accettare o rifiutare i trattamenti medici e dunque disporre autonomamente della propria esistenza. Viene definito anche biotestamento o Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento).

Eutanasia. La radice greca eu-thanatos (buona morte) permette di capire, in modo chiaro e diretto, il grande tema al centro del fine vita. L’eutanasia è una pratica attraverso cui il paziente sceglie di interrompere le cure e, dunque, di morire in modo sereno. Una decisione privata e soggettiva, legata alla propria concezione dell’esistenza e della dignità umana. E’ necessario, però, distinguere tra eutanasia passiva e attiva. La prima consiste nell’interruzione dei trattamenti da parte del medico, con il conseguente sopraggiungere della morte del paziente. Di fatto coincide con il rifiuto delle cure e, in teoria, è sancita dalla Costituzione. La seconda è una pratica compiuta dal medico, su precisa richiesta del paziente, per procurarne la morte. Si tratta di uno degli aspetti più controversi del dibattito sul fine vita, perché pone a confronto il diritto di autodeterminazione dell’individuo con l’autonomia morale (e non professionale) del medico.

Rifiuto delle cure. «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Lo dice l’articolo 32 della Costituzione, che sancisce la libertà di scelta di ciascun individuo di rifiutare le cure, qualora ritenute inutili o lesive della propria dignità. Il problema sorge quando, in assenza di una legge, il paziente non è più in grado di comunicare le sue scelte. In tal caso è unicamente il medico a decidere quando e se sospendere le cure.

Suicidio assistito. A differenza dell’eutanasia, è un atto compiuto in modo autonomo dal malato, il quale viene messo in condizione di porre fine alla propria vita attraverso la somministrazione di farmaci letali. Si tratta di una strada costosa e permessa solo dopo un lungo percorso di dialogo con psichiatri, psicologi e medici specializzati.

Qual è la situazione legislativa in Europa? Mentre in Italia la legge sul biotestamento è stata calendarizzata dal Parlamento (anche se dopo tre rinvii consecutivi) e la legge sull’eutanasia non è mai stata discussa dalle parti politiche, del tutto diversa è la situazione negli altri paesi europei. In Olanda e Lussemburgo sono permesse tutte le pratiche inerenti al fine vita. In Belgio l’eutanasia attiva è estesa (con alcune limitazioni) anche ai minori. Svizzera, Germania e Svezia, invece, permettono unicamente il suicidio assistito. Caso a parte è costituito dall’eutanasia passiva, o rifiuto delle cure, che è regolamentata in tutti i paesi nordici, ma anche in FranciaSpagna e Grecia.