Un’associazione a delinquere dedita alla commissione di reati fallimentari, riciclaggio e autoriciclaggio. È quanto messo in piedi da nove persone, sette italiani e due romeni, che hanno volutamente fatto fallire la Gepin Contact S.p.a., società attiva nel settore dei call center. Il passivo ammontava a oltre 43 milioni di euro e gli arrestati avevano distratto somme e asset per circa due milioni di euro.
Le indagini – La procura di Roma ha coordinato le indagini che sono state condotte dal gruppo “tutela mercato capitali” del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza. Tutto è iniziato con il fallimento della Gepin Contact, che è stato dichiarato il 28 luglio del 2017. L’organizzazione criminale aveva costituito una pluralità di società con l’obiettivo di “far sparire i soldi” e far sì che i creditori non trovassero fondi al momento dell’apertura delle procedure legate al fallimento. Infatti, il capitale sociale della Gepin Contact era stato ceduto a una società bosniaca legalmente rappresentata da Mate Naletilic, figlio di Mladen detto “Tuta” condannato dal tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia per crimini di guerra contro l’umanità dato il suo ruolo di comandante di un gruppo para-militare durante la guerra in Bosnia-Erzegovina. Prima della cessione del capitale sociale, circa due milioni di euro sono stati distratti a favore degli associati o fatti confluire nelle casse delle altre aziende del gruppo. Lo scopo era quello di far rientrare il denaro “sporco” nel circuito economico “pulito”.
I provvedimenti – Dei nove arrestati tra le province di Roma e L’Aquila, tre sono stati portati in carcere. Si tratta di Giacomo Baccaro, al vertice dell’associazione criminale, Massimo Giaffreda, braccio destro del capo, e Claudio Pauselli, persona di fiducia. Nei confronti delle altre sei persone coinvolte sono stati disposti gli arresti domiciliari. Oltre alle misure personali, il giudice per le indagini preliminari ha disposto il sequestro di somme di denaro e asset patrimoniali riconducibili agli arresti per un valore di 2,5 milioni di euro. Tra i beni vi sono anche le quote societarie di una clinica polispecialistica e di un bar/pasticceria/ristorante di Guidonia, in provincia di Roma.