Cogne, Garlasco, Erba, Avetrana e ora Caselle. Un paese, un delitto. Piccoli borghi ai piedi delle montagne e paesini sperduti che diventano, nell’immaginario collettivo, il sinonimo di crudeli delitti e di misteri a lungo non risolti. Storie di provincia criminale d’Italia. Secondo l’opinione comune il crimine si sta spostando fuori dalle grandi città, negli angoli più nascosti del Paese. Ma in realtà in numeri non lo dicono. I delitti di provincia diventano più famosi, spesso, solo perché restano più tempo senza un colpevole.
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“Se la signora Franzoni avesse ucciso il figlio a Milano, dopo ventiquattro ore sarebbe finita in carcere per l’omicidio del figlio. E non ci sarebbe stato nessun mistero di Cogne”. È il parere di Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo. La provincia rimane di più nella memoria degli italiani non perché ci sono più omicidi nei borghi, ma perché la polizia dei piccoli paesini ha meno mezzi per condurre le indagini: “Un caso di cronaca per diventare significativo deve restare insoluto per alcuni giorni”, ribadisce Picozzi: “Ci deve essere un mistero. E dov’è che questi delitti rimangono un mistero? Dove c’è una pressione investigativa minore”.
Sono i casi che rimangono insoluti per molto tempo che permettono ai mass media di creare un “caso” e far si che l’Italia rimanga col fiato sospeso fino all’arresto dell’omicida. Come nel caso di Serena Mollicone, il delitto della diciottenne di Arce, in provincia di Cassino, che dopo tredici anni resta ancora insoluto.
“Statisticamente, un investigatore di Milano ha molti più strumenti per intuire subito l’omicida”, continua Picozzi. Così non è successo nel caso di Caselle, dove il vero responsabile è stato trovato in tempi brevi. “Ma è stato un caso. Se invece l’omicidio fosse restato insoluto per più tempo ne avremmo parlato tutto l’anno”, è l’opinione del criminologo.
Inoltre gli omicidi volontari, lo mostra l’Istat, sono in caduta libera negli ultimi 10 anni. Erano 1.800 nel 1.990 e sono diventati poco più di 800 nel 2012. “Di questi, escludendo i delitti dovuti alla criminalità organizzata, alle rapine, ai femminicidi, restano un centinaio di casi. È impensabile fare una statistica sensata su così pochi casi”, conclude Picozzi.
Enrico Tata