Ora che l’acqua si è ritirata e in Emilia–Romagna si spala il fango e si contano i danni delle alluvioni, il dibattito sulla gestione dei fiumi è aperto. È meglio canalizzare i corsi d’acqua o lasciarli scorrere liberi, come nel caso del fiume Tagliamento? I sindaci romagnoli chiedono a gran voce argini rinforzati e casse di espansione. Il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci annuncia di voler costruire nuove dighe. Tuttavia, per il Wwf, che allo stato dei corsi d’acqua italiani ha dedicato la campagna “LiberiAmo i fiumi”, più i fiumi sono naturali più sono sicuri.

Un momento della Piena del Fiume Ronco nei pressi della Città di Ravenna. 17 maggio 2023, Ravenna (Ansa/Emanuele Valeri)
I rischi della canalizzazione – Irregimentando i fiumi, si legge in una scheda del Wwf, si restringe il loro alveo. Di conseguenza, la velocità e l’energia dell’acqua aumentano e i detriti hanno meno aree in cui depositarsi. In più, i corsi d’acqua in natura sono dotati di una vegetazione ripariale, ovvero di piante che tendono a rallentarne la corsa e che sono spesso rimosse quando il fiume viene canalizzato. In caso di piena, dunque, un fiume “controllato” artificialmente raggiunge picchi più alti e si scarica a valle con più violenza.
Le casse di espansione – Per evitare che le esondazioni danneggino i territori circostanti si costruiscono delle casse di espansione, ovvero dei bacini che raccolgono una parte dell’acqua quando il fiume si ingrossa. Tra il 2015 e il 2022 in Emilia-Romagna sono stati stanziati 190 milioni di euro per realizzarne ventitré. Di queste dodici sono attive, due funzionano solo in parte e le altre sono ancora in fase di progettazione o appalto. Tutte quelle operative si trovano in Emilia, la zona storicamente più soggetta a piene e straripamenti. In Romagna, nessuna. I sindaci romagnoli ora le chiedono a gran voce, eppure altrove si pensa di rinunciarvi.
Il caso del Tagliamento – Il principale fiume del Friuli-Venezia Giulia ha mantenuto in gran parte le sue caratteristiche naturali, senza essere irregimentato, e ora che l’Autorità di bacino distrettuale delle Alpi Orientali vorrebbe realizzare una cassa di espansione alcuni amministratori locali e cittadini si oppongono. Al momento solo gli ultimi venti chilometri sono canalizzati e la cassa dovrebbe preservare i territori di Latisana, Bibione e Lignano (Udine) da eventuali alluvioni. Il Tagliamento è un unicum nel panorama italiano, ma potrebbe diventare presto un modello. Dai ricercatori alle istituzioni europee, infatti, si fa strada la tesi di una progressiva rinaturalizzazione dei corsi d’acqua.

Chiusura dei Murazzi per il rischio di esondazione del fiume Po a causa delle abbondanti piogge, Torino, 20 maggio 2023 (Ansa/Alessandro Di Marco)
Ridare spazio ai fiumi – «In Emilia-Romagna è stato ridotto in modo drastico l’alveo naturale dei fiumi, quindi gli argini sono quasi adiacenti alle sponde e ai fiumi è stato tolto lo spazio che serviva per esondare», spiega Andrea Agapito Ludovici, responsabile Acque del Wwf. «L’Emilia-Romagna ha una storia centenaria di canalizzazioni e negli ultimi anni si è continuato a consumare suolo, intaccando anche aree che dovevano essere lasciate per la sicurezza del fiume. Dobbiamo quindi cercare di recuperare spazio attraverso interventi di ripristino delle aree di esondazione naturale oppure, dove questo non è possibile, attraverso casse di espansione». Il risultato, però, non è lo stesso: «Le aree di esondazione naturale funzionano in modo diverso perché si riempiono mano a mano che il fiume sale, l’energia si distribuisce e i detriti si depositano in modo uniforme lungo tutto il fiume. Al contrario, se il fiume è fortemente canalizzato si erode molto di più il fondo ed è così che, ad esempio, crollano molti ponti». Oltre a non avere abbastanza spazio, i fiumi italiani non sono nemmeno puliti e gestiti in modo adeguato. «Il secondo problema è la manutenzione», dichiara Agapito Ludovici. «A Faenza ha ceduto un muro di contenimento. Evidentemente era stato costruito male, non lo hanno certo eroso le nutrie».
Rinaturalizzare i corsi d’acqua è possibile? – Anche in un contesto denso di attività produttive e urbanizzato come quello dell’Emilia-Romagna, secondo Agapito Ludovici, è possibile recuperare: «Basta vedere il progetto di rinaturalizzazione del Po, inserito nel PNRR e promosso dal Wwf e da Confindustria, o quello che stanno facendo in Olanda e in Germania. Ci sono tante esperienze anche di piccoli interventi di ripristino ambientale, quindi il problema non è che non si può fare, ma che non si vuole fare». Una spinta in questa direzione potrebbe arrivare dalle istituzioni europee, dove è in discussione una proposta di regolamento che, in caso di approvazione, obbligherebbe i Paesi membri ad avere dei piani di ripristino ambientale.