Il nuovo avanza. Il vecchio resiste. L’eterno scontro tra innovazione e tradizione ha luogo nel convento dei Santi Gervasio e Protasio a San Giacomo di Veglia, nel comune di Vittorio Veneto. Le monache cistercensi che vivono lì sono solite gestire gli orti con persone con disabilità e offrire ascolto a chi si trova in difficoltà, come le donne vittime di violenza. Una comunità da sempre unita nel lavoro e nella preghiera. Questo fino alla fuga di undici suore. Secondo le prime testimonianze, le monache di clausura avrebbero subito pressioni psicologiche tali da presentarsi dai carabinieri di Belluno, per informarli di essersi allontanate volontariamente, in modo tale da non far scattare le ricerche. Prima di rivolgersi alle forze dell’ordine, avevano chiesto al loro Dicastero la dispensa dai voti e il permesso di rompere la clausura, ricevendo però un netto rifiuto.
La fuga – Già due anni fa altre quattro suore, poi trasferite, avevano inviato a Papa Francesco una lettera. Il messaggio, riguardante la quarantunenne abbadessa che reggeva il convento, Aline Pereira Ghammachi, conteneva una serie di accuse nei suoi confronti: autoritarismo, percosse, violazioni della clausura e manipolazione. Accuse inizialmente archiviate dalle visite ispettive come “calunnie” fino poi all’accertamento, con le successive ispezioni, di effettivi atteggiamenti manipolatori. Così lo scorso venerdì santo, il 18 aprile, l’abate generale della Congregazione di San Bernardo in Italia, Mauro Giuseppe Lepore, si è visto costretto a notificare il commissariamento, ovvero la designazione di un commissario in una sede periferica da parte dell’autorità centrale. Al posto di Suor Aline, a riportare l’ordine in convento è arrivata madre Martha Driscoll, di 81 anni. È proprio questo cambiamento che, martedì 29 aprile, fa precipitare tutto, spingendo alla fuga le prime cinque suore, vicine alla abbadessa destituita e quanto mai lontane dalle idee antiprogressiste della Driscoll. Altre sei sorelle si sono poi aggiunte venerdì, 2 maggio, portando il totale a undici.
Aline Pereira Ghammachi – L’abbadessa 41enne destituita è la più giovane reggente di un convento italiano dal 2018, originaria di Macapà, in Brasile, e laureata in economia e commercio. Quello di Pereira è un modo di fare fresco e progressista, caratterizzato da un forte spirito imprenditoriale, che infastidisce sin da subito le monache più conservatrici. Per risollevare le sorti economiche del monastero cistercense, infatti, Aline aveva cominciato a produrre aloe, vasetti di miele, creme lenitive e prosecco, imbottigliato in collaborazione con una cantina vicina al convento, la Sarah dei Tos. Il vino era stato anche pubblicizzato, nel 2023, proprio grazie al monastero che, per l’occasione, aveva aperto le porte alla stampa e al presidente della Regione, Luca Zaia.
Il vecchio e il nuovo – L’apertura al territorio e i progetti di agricoltura sociale rappresentano uno spiraglio di luce per alcune e una novità molto poco apprezzata per altre. Troppa mondanità per le più moderate. Troppa commistione tra mondo ecclesiastico e mondo laico per le più tradizionaliste. Tanto da puntare, a un certo punto, sul ritorno dell’anziana madre Driscoll. Il nuovo che avanza non piace. Il vecchio che resiste sì. Secondo Francesca, la giovane barista amica di Aline, è un’ingiustizia: «Aline ha fatto solo del bene al monastero così come in tutta la comunità di San Giacomo di Veglia. Come lo pago il riscaldamento? Mi chiedeva fino a ieri. Come faccio a provvedere alle necessità delle mie consorelle?». Sempre secondo lei, le undici suore scappate si troverebbero ora tutte insieme, in un posto sicuro e segreto. «Ci sentivamo soffocate, hanno distrutto una pace durata mezzo secolo», hanno raccontato le monache in questione. «Le anziane non ci perdonano le foto dentro il monastero, i messaggi ai familiari, la voglia di finanziarci con i prodotti del nostro lavoro», ha confidato la giovane badessa prima della sua destituzione. La loro versione rivela dunque pressioni morali e psicologiche e descrive un ambiente ormai invivibile, dopo il cambio di amministrazione e il ritorno “all’Ancien Régime”. Tutto si riduce a uno scontro. Quello generazionale: da una parte, le suore più giovani e aperte al cambiamento e all’innovazione, dall’altra quelle più anziane, legate a una visione più tradizionale della clausura.