La deontologia per un giornalista è una compagnia quotidiana. Conoscerla a fondo è il metodo per fare informazione e non solo “comunicazione”. Questo uno degli spunti di riflessione emerso durante la presentazione del libro Manuale di deontologia del giornalista. Informazione, disinformazione, società di Michele Partipilo. Una discussione sul ruolo della professione giornalistica e sulle regole del mestiere nell’era dell’informazione diffusa e social e delle tecnologie digitali. Presente anche lo storico direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, che ha detto a La Sestina quale deve essere, secondo lui, il rapporto tra giornalista e tecnologia.

Ferruccio de Bortoli, fonte: Wikipedia

Che cos’è la credibilità nella professione giornalistica?
La credibilità è legata alla serietà del proprio lavoro. È legata all’umiltà. Oggi il giornalista ha molti concorrenti, non si ha più un monopolio informativo. Molto spesso sono gli stessi utenti a ribaltare questa situazione in quanto produttori di contenuti sulle piattaforme digitali. Il giornalista anche in questo contesto deve sempre coltivare i dubbi e per essere credibile non deve sentirsi proprietario della verità assoluta. Deve poi trasmettere in maniera seria il frutto della propria indagine, tenendo sempre conto che non è definitiva e va aggiornata.

C’è ancora posibilità di errore nell’epoca dell’informazione digitale in tempo reale?
L’errore è molto più frequente di una volta. Un tempo i giornali uscivano una volta al giorno, c’era una maggiore riflessione e si aveva il tempo di meditare sull’informazione prima di pubblicarla. Questa fase oggi è pressoché scomparsa e gli errori si fanno, soprattutto nei contesti in cui la tempestività vince sul contenuto.

Pensa che strumenti tecnologici come le intelligenze artificiali possano invece essere più affidabili in questo senso?
C’è un grande dibattito in corso su questo tema, alimentato anche dalla recente introduzione di Chat GPT, che funziona un po’ come un grande catalogo di tutto quello che è stato scritto in passato. Più che un’intelligenza artificiale si tratta di un archivio vivente in grado di unire diverse fonti ma anche di autocorreggersi. Probabilmente in futuro una parte del processo dell’informazione verrà “meccanizzata” da questo tipo di strumenti, che possono risultare più affidabili nel redigere schede tecniche basate su dati meramente statistici sugli eventi passati. La capacità di indagine invece, corroborata da dubbio, conoscenza, fatica e anche intelligenza operativa, rimane caratteristica del giornalista. Uno strumento come Chat GPT con la sua capacità di analisi potrà essere di aiuto in questa professione, ma non può sostituirla interamente.

Qual è allora il valore aggiunto che può portare un giornalista professionista?
La grande bellezza del giornalismo è anche che ci sono delle regole e che molto dipende dalla nostra testa, dalle nostre conoscenze, a volte anche dal nostro cuore e dalle nostre viscere. Con il giornalismo si possono trasmettere emozioni, condividere punti di vista. La realtà è complessa, non può essere ridotta a qualcosa di artificiale. Il compito del giornalista, a volte simile a quello di uno scrittore, è quello di cogliere particolari che potrebbero sfuggire al lettore.  Le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiali sono quindi strumenti utili se utilizzati al meglio, ma possono diventare distruttivi se si propongono di rimpiazzare meramente quella che è la funzione insostituibile del giornalista.