Da 21 anni in Italia si celebra il Giorno del ricordo. Si commemora così il dramma delle foibe nel confine orientale del Paese: nelle grotte furono gettati i corpi di circa 10 mila persone, non solo ex fascisti, ma anche oppositori al regime comunista o semplici cittadini con l’unico torto di essere italiani. La ricorrenza viene fatta coincidere con il 10 febbraio, cioè con la firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947, attraverso il quale vennero ceduti alla Jugoslavia l’Istria, Fiume, Zara e le isole del Quarnaro. Condizioni che comportarono l’esodo di centinaia di migliaia di sopravvissuti ai massacri di Tito pur di conservare la cittadinanza italiana e la libertà.

La ricorrenza – L’istituzionalizzazione della data è avvenuta nel marzo del 2004 dopo vari tentativi negli anni Novanta e nel 2000 degli ex rappresentanti del Movimento sociale italiano. La proposta di legge che poi andò a buon fine con una convergenza allargata ebbe tra i primi firmatari gli eredi del partito di Giorgio Almirante Roberto Menia e l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa. Dopo diverse polemiche, venne però modificata la dicitura dell’iniziale formulazione: da “Giorno della memoria e della testimonianza” a “Giorno del ricordo”, appunto. È stata così evitata la sovrapposizione logica con il 27 gennaio, la ricorrenza internazionale voluta per non dimenticare la Shoah commessa dai nazifascisti.

Le istituzioni – In una nota, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sottolineato che quanto successo ai fiumani, agli istriani e ai dalmati sia una storia «patrimonio di tutta la Nazione, che ha sconfitto la congiura del silenzio e che nessun tentativo negazionista o giustificazionista potrà mai più nascondere o cancellare». Il capo di Stato Sergio Mattarella ha auspicato una conciliazione e un’unità di intenti, con gesti di attenzione, dialogo e rispetto: «Dopo tanti decenni e in condizioni storiche e politiche profondamente mutate la memoria delle vittime perderebbe il suo valore autentico se fosse asservita alla ripresa di divisioni o di rancori». Mattarella ha menzionato la sua visita del 2020, insieme al presidente sloveno Borut Pahor alla foiba di Bazovizza e poi al monumento dei giovani sloveni fucilati dal fascismo nel 1930.

Vandali al lavoro – Le divisioni spesso riemergono tra le pagine della cronaca. L’8 febbraio è stato vandalizzato il luogo simbolico di Bazovizza, definito «un pozzo». Un’altra scritta rossa ha riportato il motto dei partigiani di Tito: «Morte al fascismo, libertà al popolo». Un oltraggio – su cui la Digos ha aperto un’indagine – che è stato condannato da tutte le forze del Parlamento italiano. Il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza ha voluto cancellare la vernice rossa con della pittura bianca. L’imbrattamento è stato poi rimosso con l’idropompa.

Gorizia – L’8 febbraio è stato anche il giorno della cerimonia a Gorizia scelta come capitale europea transfrontaliera della cultura, un evento cui hanno partecipato i due capi di Stato Sergio Mattarella e Nataša Pirc Musar. Per la prima volta a rappresentare la cultura sono due città, Gorizia e Nova Goriza, divise fino al 1991 da un filo spinato e teatro di feroci repressioni ideologiche. L’unione di intenti è frutto di un percorso avviato dieci anni fa e promosso dal locale gruppo europeo di cooperazione territoriale.