Non ci sarà nessuna commemorazione al Cairo per i due anni dalla scomparsa di Giulio Regeni, il ricercatore di Fiumicello (Udine) rapito, torturato e ucciso nel gennaio 2016 nella capitale egiziana. Niente neppure nell’ambasciata italiana: Giampaolo Cantini – che ha appena preso servizio dopo più di 16 mesi di assenza di rapporti diplomatici tra Italia ed Egitto – si è limitato ad affidare al Tg1 un messaggio di «continuazione dell’impegno per trovare la verità». Ad aprire uno spiraglio di luce nel giorno dell’anniversario, però, è stato il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, che ha scritto una lettera a Corriere e Repubblica in cui fa il punto sulle indagini, dirette dalle autorità egiziane e a cui collabora la “sua” procura. «Ai signori Regeni – spiega Pignatone – assicuriamo che proseguiremo con il massimo impegno nel fare tutto quanto sarà necessario e utile affinché siano assicurati alla giustizia i responsabili del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio».
La lettera del pm – Il procuratore non nasconde le «difficoltà oggettive» della situazione. Innanzitutto per quanto riguarda la collaborazione con gli inquirenti del Cairo, un «unicum» nel campo della cooperazione giudiziaria. «Noi, magistrati e polizia giudiziaria italiani – scrive Pignatone – possiamo solo supportare le attività degli inquirenti egiziani, non possiamo immaginare di raccogliere fuori dall’Egitto elementi decisivi per la individuazione dei responsabili». E, nonostante ciò, ci sono stati «ben sette incontri» tra le due parti, e «per la prima volta, credo, un procuratore generale di un altro Paese è venuto in Italia, pur in assenza di trattati, per condividere i risultati delle sue attività d’indagine e noi siamo andati al Cairo con lo stesso scopo», si legge nella lettera. «Di questo devo ringraziare, anche pubblicamente, il procuratore Nabeel A. Sadek».
Movente e responsabilità – Pignatone rivendica comunque di aver raggiunto «risultati concreti» da due punti di vista: evitare i depistaggi (come la dicerìa per cui Regeni sarebbe stato una spia o il tentativo di incriminare della sua morte una banda di rapinatori) e fissare gli aspetti da approfondire. In primis il movente – «pacificamente da ricondurre alle attività di ricerca effettuate da Giulio nei mesi di permanenza al Cairo» – e il ruolo giocato da alcune figure, a partire da alcuni poliziotti e agenti dei servizi segreti che, secondo polizia e Ros, furono coinvolti (almeno) nel sequestro del ricercatore. «È emerso con chiarezza il ruolo di alcune tra le persone che Giulio ha conosciuto nel corso di tali ricerche, persone che lo hanno tradito – continua Pignatone – Ed è stata anche messa a fuoco l’azione degli apparati pubblici egiziani che già nei mesi precedenti avevano concentrato su Giulio la loro attenzione, con modalità sempre più stringenti, fino al 25 gennaio». Il 28enne friulano, infatti, si trovava al Cairo per condurre una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani per conto dell’Università di Cambridge, dove stava conseguendo il dottorato, e sotto pseudonimo ne aveva raccontato in alcuni articoli la difficile condizione. Per questo gli inquirenti presumono che sia stato monitorato dall’intelligence egiziana fino al sequestro.
Il ruolo di Cambridge – Lo scorso 10 gennaio gli inquirenti italiani hanno perquisito l’ufficio e la casa della professoressa di Cambridge Maha Abdel Rahman, tutor di Regeni, per cui la Procura di Roma ipotizza responsabilità nel caso. Tesi confermata dalle parole odierne di Pignatone: «È importante ricostruire i motivi che hanno spinto il ricercatore ad andare al Cairo – continua il procuratore – Le evidenti contraddizioni tra le dichiarazioni acquisite nell’ambito universitario e quanto emerso dalla corrispondenza intrattenuta da Giulio (da cui era emersa la sua preoccupazione per la delicatezza del tema della ricerca, ndr) hanno imposto di effettuare accertamenti anche nel Regno Unito, i cui risultati a un primo esame sembrano utili e sono allo studio dei nostri investigatori».
Il rapporto anonimo – Tempismo vuole che proprio nei giorni scorsi, alla vigilia dei due anni dal rapimento di Regeni, all’ambasciata italiana di Berna sia pervenuto un rapporto anonimo che indica nell’intelligence militare i responsabili della morte di Regeni (mentre finora gli inquirenti si sono concentrati piuttosto sui servizi segreti civili). Ieri, 24 gennaio, la procura generale del Cairo ha concluso che si tratterebbe di un documento falso. Un elemento che complica ulteriormente il quadro, reso ancora più complesso dal fatto che a inizio marzo anche l’Egitto andrà alle urne (riconfermando quasi certamente il generale Al-Sisi), e in campagna elettorale sembra difficile che il governo egiziano sia disposto a rischiare di far emergere una verità in ogni caso compromettente per l’apparato statale.