Era l’11 aprile 2011 quando Silvio Berlusconi, uscendo dal tribunale di Milano dopo una delle tante udienze del processo Mediaset, disse ai suoi sostenitori: «Vi ringrazio della fiducia che mi date, vi assicuro che me la merito tutta». Da lì, un susseguirsi di udienze e ricorsi, fino alla condanna definitiva per frode fiscale emessa dalla Cassazione nel 2013 e la decadenza dalla carica di senatore. Oggi, dopo quasi otto anni, si riaccendono le luci su quell’intrigata vicenda giudiziaria: la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha dichiarato «non infondato» il ricorso avanzato nel 2014 dal team di legali dell’ex Cavaliere. Lo ha fatto attraverso un dossier di 10 domande sull’effettiva equità e imparzialità del processo Mediaset. Il governo italiano dovrà rispondere entro il 15 settembre.

Le domande da Strasburgo – «Il ricorrente signor Silvio Berlusconi ha beneficiato di una procedura dinanzi a un tribunale indipendente, imparziale e costituito per legge? Ha avuto diritto a un processo equo? Ha disposto del tempo necessario alla preparazione della sua difesa?». Sono questi alcuni dei quesiti elaborati da Strasburgo a partire da quel fascicolo numero 8683/14 intitolato Berlusconi contro Italia. Tempi lunghi, lunghissimi, che però hanno dato ragione all’azione del team di avvocati dell’ex presidente del Consiglio: la ricostruzione dell’iter giudiziario presentata da Andrea Saccucci, Franco Coppi, Niccolò Ghedini, Bruno Nascimbene, Keir Starmer e Steven Powles alla Corte di Strasburgo poneva l’attenzione su alcune presunte violazioni che i tribunali italiani avrebbero commesso ai danni della difesa. Si va dal mancato riconoscimento del legittimo impedimento all’ex premier a partecipare a cinque udienze, al taglio dei testimoni, fino al rigetto dell’istanza di trasferimento del processo ad altra sede e la mancata traduzione di alcuni documenti provenienti dall’estero. Il governo italiano deve quindi – affermano i giudici di Strasburgo – rispondere alle «doglianze» sollevate da Berlusconi.

Il processo Mediaset – «L’azione per la quale il ricorrente è stato condannato – domanda la Corte – costituiva reato secondo il diritto nazionale al momento in cui è stata commessa? Il ricorrente è stato processato due volte per la stessa offesa sul territorio dello Stato?». I processi a cui si riferiscono i giudici di Strasburgo risalgono al periodo 2011-2013, quelli che hanno segnato l’iter della vicenda Mediaset. L’inchiesta riguardava la compravendita di diritti televisivi da parte dell’azienda di Cologno attraverso società offshore, riconducibili al gruppo di Berlusconi. Per l’accusa, Mediaset comprava diritti di film girati negli Stati Uniti attraverso società offshore, che a loro volta li cedevano ad altre società gemelle, facendo lievitare il prezzo a ogni passaggio, generando e occultando fondi neri. Il 26 ottobre 2012 l’ex Cavaliere viene condannato per frode fiscale a 4 anni di reclusione (di cui 3 coperti da indulto), sentenza poi confermata dalla Corte di Cassazione nel 2013, e all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Periodo poi ridotto a due anni in Corte d’Appello e reso definitivo dalla Cassazione nel 2014.

Le conseguenze – In questi otto anni, l’ex premier ha scontato la pena con l’ l’affidamento in prova ai servizi sociali per un anno in una casa di riposo per anziani. Ha anche ottenuto la riabilitazione, dopo che nel 2013 la legge Severino lo aveva reso incandidabile fino al 2019. Ma, anche se di fatto è potuto rientrare in Parlamento, gli effetti di quella vicenda giudiziaria perdurano tutt’oggi. Ad esempio, riporta il Corriere della Sera, «continua ad avere effetti per lui importanti su altri versanti; ad esempio il diritto della Fininvest a detenere le quote eccedenti il 9,99 per cento di Banca Mediolanum, contestato proprio a causa della perdita dei requisiti di «onorabilità» (dovuta alla condanna) da parte dell’ex Cavaliere, azionista di maggioranza del gruppo».

La sede della Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo

Che cos’è la CEDU? – Gli avvocati di Berlusconi hanno dovuto attendere quasi un decennio, ma per il momento la decisione di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha prodotto i suoi frutti. Non è la prima volta che la squadra legale del fondatore di Forza Italia scelgono di percorrere la strada di Strasburgo. La CEDU è infatti l’organo giurisdizionale internazionale che si occupa dal 1959 – anno della sua fondazione – di assicurare il rispetto dei diritti delle persone in tutta l’area geografica dei 47 stati membri del Consiglio d’Europa. Ad essa si possono rivolgere sia gli Stati aderenti alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sia i singoli cittadini. Quest’ultimo è stato il caso dell’ex Premier. Ora la palla passa al governo italiano che dovrà pronunciarsi in un tempo massimo di quattro mesi.